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Europa «disunita» anche sulla povertà

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Europa «disunita» anche sulla povertà

Il divario economico tra Nord e Sud e tra settori di popolazione non è una caratteristica solo italiana, ma investe l’intera Europa. In Italia, tuttavia, l’allarme disuguaglianze e indigenza è particolarmente elevato.

I fattori critici

Nel nostro Paese infatti – come ha osservato Luca Ricolfi nell’editoriale sul Sole 24 Ore del 2 gennaio scorso - oggi esiste «una terza società, la società degli esclusi», che negli anni della crisi è cresciuta di dimensioni, fino a superare quota dieci milioni di persone tra disoccupati, occupati in nero e inattivi ma disponibili a un impiego. Una schiera che più o meno coincide con l’ultima statistica Istat su quanti vivono in condizioni di povertà relativa (il 16,6% della popolazione sotto la soglia mensile di 972 euro di spese per nuclei con due componenti).

E che non accenna a diminuire, visto che nel novembre scorso il tasso di disoccupazione ha raggiunto il record del 13,4% (+0,9% rispetto a 12 mesi prima), sfiorando il 44% tra i giovani, quando invece a fine 2014 la Germania è riuscita a mettere a segno il minimo storico del 6,5 per cento. Ulteriore elemento che rende ancor più preoccupante lo scenario italiano: il nostro Paese - clandestini ed emergenza sbarchi a parte - è il quarto in Europa (dopo Germania, Spagna e Regno Unito) per presenza di immigrati regolari (sono circa 4,4 milioni, il 7,4% della popolazione residente totale), ma si tratta di soggetti prevalentemente con titoli di studio bassi e con scarsa qualificazione professionale.

Una recente ricerca realizzata dalla Fondazione Moressa su dati Eurostat, che mette a confronto le differenze di reddito e i tassi di povertà in Italia e in Europa, conferma ulteriormente la posizione critica in cui si trova il nostro Paese e spiega in parte la perdita di appeal dell’Italia (basti pensare che nel 2013 sono aumentati i trasferimenti all’estero,+ 21% tra gli italiani e +14% tra gli stranieri, mentre sono calati del 13% gli ingressi).

I flussi

Se le destinazioni più gettonate sono Regno Unito e Germania, la principale spinta a questi flussi in uscita è la possibilità di ottenere un reddito superiore. In questi due Paesi, infatti, l’importo medio per uno straniero può oltrepassare i 20mila euro, superando addirittura quanto possono guadagnare un italiano o uno spagnolo nei loro Paesi (rispettivamente 18.800 e 16.700 euro, si veda la tabella).

Ma non è tutto. Se si osserva il divario tra i redditi medi percepiti dai nativi e quelli cui possono aspirare gli stranieri, l’Italia si trova al 22° posto nella classifica Ue 28 elaborata dalla Fondazione Moressa: circa 6mila euro di differenza sia nel nostro Paese sia in Spagna (al 24° posto) rispetto ai 2mila euro della Germania (13°) e agli appena 332 nel Regno Unito (settimo).

Certo, anche in altre aree del Nord come Svezia, Francia o Austria si rileva una forte differenza di reddito tra autoctoni e immigrati, ma va osservato che nel “gruppo Nord” gli importi medi degli stranieri sono molto più alti di quelli percepiti da un immigrato nel “gruppo Sud” (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia). Inoltre, in questi anni di crisi (dal 2008 al 2013), in Italia e in Spagna i redditi degli immigrati - impegnati in gran parte in settori come l’edilizia o i servizi domestici, poco remunerativi e più colpiti dalla congiuntura negativa - hanno subìto una contrazione del 10% circa; in Svezia, Francia e Austria sono invece aumentati con percentuali a doppia cifra. E poi nell’appeal di un Paese contano anche le chance lavorative: il tasso di occupazione degli autoctoni in Italia e in Spagna si aggira sul 55% (quasi dieci punti in meno della media Ue 28), mentre per tedeschi e inglesi supera il 70 per cento.

L’indigenza

Tutti fattori che concorrono a posizionare il nostro Paese in una situazione allarmante sul fronte dell’esclusione sociale. Secondo la ricerca della Fondazione Moressa, in Italia oltre il 26% degli italiani e il 43% degli stranieri si trova a “rischio di povertà” (secondo l’indicatore adottato nell’ambito della strategia Europa 2020, che deriva dalla combinazione del rischio di poverta, della grave deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro: in totale, oltre 16 milioni di persone). Valori che pongono l’Italia agli ultimi posti nella Ue assieme alla Grecia (unico Paese Ue privo di una misura nazionale contro la povertà, come evidenziato da Cristiano Gori sul Sole 24 Ore del 4 gennaio), Spagna e Portogallo. «A distinguersi positivamente sono, anche in questo caso, Regno Unito e Germania, con valori inferiori alla media Ue - osserva Stefano Solari, direttore scientifico della Fondazione Leone Moressa -. In conclusione: l’Europa è profondamente divisa tra Nord e Sud sul versante dei redditi, delle chance occupazionali, del trattamento economico riservato a nativi e stranieri, della quota di popolazione da considerare a rischio povertà». Una porzione di residenti che - in Italia -, oltre a non aver trovato rappresentanza né risposte neppure nelle ultime manovre economiche, va a scalfire ulteriormente il grado di attrattività del Paese.