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Così la nuova Cina si (ri)presenta al mondo

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Così la nuova Cina si (ri)presenta al mondo

Dal 2009 Davos non vedeva la partecipazione di una delegazione guidata dal premier cinese: da quando Wen Jiabao raggiunse il Forum, forte di un’iniezione di 586 miliardi di dollari nell’economia cinese, allora quarta nel mondo. Li Keqiang ha aperto ieri la sessione annuale di Davos, prima di condurre un colloquio con gli imprenditori dell’International Council for Business del Forum Economico mondiale e del successivo incontro con Klaus Schwab, presidente esecutivo del Forum. Il suo è stato, nelle parole dell’ambasciatore Wu Hailong, un discorso “speciale”, rivolto a una comunità finanziaria e politica internazionale che continua troppo ossessivamente a considerare il tasso di crescita del Pil cinese come indicatore della salute della sua economia, in chiave prospettica. Li Keqiang ha affrontato gli attesi temi della cooperazione economica nel complesso intreccio Cina,Usa,Ue. E la prospettiva strategica di lungo periodo del premier cinese, con le sue nuove politiche, ha lasciato il segno sulla platea di Davos. Anche se la comunità internazionale continua a guardare alla Cina con la mentalità etnocentrica del mondo occidentale e con lo sguardo rivolto al passato. Nel mondo occidentale si ritiene che la mancanza di democrazia in Cina sia il possibile detonatore di un’impasse anche economica, mentre negli ultimi trent’anni la politica del Politburo si è tradotta in successi: centinaia di milioni di persone hanno sconfitto la povertà sotto il cielo di un pensiero strategico, il modello di un “capitalismo in salsa cinese”. Non dobbiamo commettere l’errore di considerare che la sola fonte di legittimazione del Governo cinese possa derivare dal progredire della democratizzazione. La forza del dragone è radicata nella storia del Paese: assieme alla famiglia, lo Stato ha rappresentato il punto di riferimento della popolazione nella prospettiva di un percorso di progressiva civilizzazione.

Stiamo inoltre commettendo l’altro errore di dare eccessiva enfasi alla dimensione quantitativa della crescita del Pil. Il presidente Xi Jinping ha varato un piano economico per cambiare il modello di crescita nella consapevolezza che la continua crescita dei costi del lavoro, il livello di inquinamento ambientale e la quasi-bolla dell’immobiliare non rendano più sostenibile un sistema trainato da investimenti e da un’architettura produttiva fondata sulla leva dei bassi costi di produzione. Con il XIII Plenum del Partito, gli obiettivi chiave sono diventati: progressiva liberalizzazione del settore privato, riforma del sistema sanitario e finanziario, produttività, sostenibilità ambientale e crescita del capitale umano. Con l’obiettivo di facilitare un processo di redistribuzione del reddito (e quindi sostenere la crescita della domanda interna) e introdurre condizioni di contesto in funzione di un paradigma industriale votato all’innovazione. Obiettivi ambiziosi, che richiedono solidità granitica da parte del Partito e che forniscono la chiave di lettura per interpretare le azioni varate da Xi contro la corruzione. La lotta all’opportunismo diffuso cela l’obiettivo di eliminare lobby e interessi votati al vecchio modello economico, ritenuto non più sostenibile. E sarà quindi possibile, grazie a questo rafforzamento interno, che la nuova leadership cinese proceda a passo spedito nella realizzazione dell’ambizioso programma di riforme pianificato.

Questo non vuol dire che si aprirà necessariamente un’autostrada per la nuova via dello sviluppo cinese; gli ostacoli sono ancora numerosi e l’andamento del quadro economico internazionale potrà sicuramente influenzare velocità e qualità di questa trasformazione. Certo è che i segnali, anche puntuali, che registriamo, dimostrano una forte determinazione verso questa traiettoria del cambiamento.

Sono reduce da una visita a Xi’an (la città dei soldati di terracotta); nell’arco di cinque anni è previsto lo sviluppo di un distretto della conoscenza che coinvolgerà 550.000 persone. Qui Microsoft e MIT hanno già deciso di aprire centri di ricerca (e il Politecnico di Milano sta lavorando a una sua presenza in partnership con una delle più importanti università della Cina). Un abbrivio deciso verso un obiettivo di sviluppo di talenti e output ad alto contenuto di innovazione, un po’ diverso da quello a cui siamo ancora abituati in questa stanca Europa.

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