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Così Super-Mario ha aggirato il no tedesco

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LE TRATTATIVE

Così Super-Mario ha aggirato il no tedesco

Nonostante la minima condivisione del rischio, l'opinione pubblica tedesca non l'ha presa bene. L’annuncio del Qe da parte del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, è stato immediatamente salutato da un titolo a tutta pagina del quotidiano popolare tedesco “Bild”: «Cosa succede adesso ai nostri soldi?».

E da un fuoco di fila di reazioni tra il negativo e l’inorridito di economisti e banchieri, industriali e politici. Il capofila degli economisti tedeschi anti-Bce, il presidente dell’istituto di ricerca bavarese Ifo, Hans-Werner Sinn, ha dichiarato l’operazione «illegale» e prontamente il deputato democristiano Peter Gauweiler, già promotore della causa davanti alla Corte costituzionale tedesca contro l’Omt, il piano anti-crisi della Bce, ha dichiaro di avere già pronto il ricorso anche contro il Qe.

Il cancelliere Angela Merkel, che è conscia dei vincoli politici che le sono posti dall’emergere alla destra della sua Cdu degli euroscettici della Alternative fuer Deutschland, ha ripetuto con ancora più forza di quanto non avesse fatto nei giorni scorsi, l’opinione, espressa per primo dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che l’azione della Bce non deve frenare le riforme strutturali (il che in fondo è anche l’idea di Draghi), ma ha aggiunto l’osservazione, che suona come una critica niente affatto velata, che «di liquidità nel mondo ce n’è anche troppa». Il che ha prodotto il risultato paradossale di provocare alla difesa dell’indipendenza della Banca centrale, Michel Sapin, ministro delle Finanza di Francia, certo non un pulpito proprio innocente a proposito di prediche alla Bce.

Ad ascoltare la raffica di critiche da parte tedesca non si direbbe che uno degli elementi chiave del piano, la condivisione del rischio degli acquisti di titoli solo al 20%, è di ispirazione proprio di Weidmann. «C’è stato consenso su questo elemento», ha detto Draghi, spiegando che nessuno ha sollevato obiezioni. Un altro banchiere centrale presente alla riunione, tuttavia, ha rilevato che obiezioni sulla “nazionalizzazione” del rischio ce ne sono in abbondanza, ma che quello che su cui alla fine si è trovato il consenso è stato un compromesso che, secondo questa fonte, era già presente nelle convinzioni di Draghi e che era stato di fatto già confezionato con l’incontro a Berlino della settimana scorsa con il cancelliere Merkel e il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. Da fonte tedesca, si fa notare che questo ha consentito di evitare che il Qe diventasse una sorta di rete di salvataggio per il debito dei Paesi più deboli o la introduzione degli eurobond dalla finestra. Draghi ha insistito che si è dato troppo peso a questo elemento, una critica al dibattito nei media e sui mercati, ma anche, indirettamente, all’ossessione tedesca: salvando (per il 20%) il principio della condivisione, ma venendo incontro alle preoccupazioni tedesche, si sono messi d’accordo tutti, è il suo parere. Qualcuno pensa che nelle sue stesse parole si sia svelato il trucco che, nonostante le rassicurazioni, in caso di un default, le conseguenze verrebbero pagate da tutti. Qualcun altro ritiene invece che si sia aperta una frattura composta oggi dalle condizioni di mercato favorevoli, ma che potrebbe aprirsi con conseguenze imprevedibili al prossimo “incidente”, o semplicemente quando si dovesse vedere che il Qe non funziona. Un compromesso comunque che, di fronte alle fortissime pressioni tedesche, ha però consentito a Draghi di portare a casa il risultato cui teneva di più, un consenso ampio. L’unanimità sul fatto che il Qe, compreso quindi l’acquisto di titoli di Stato è uno strumento che fa legittimamente parte del repertorio della politica monetaria. Conclusione non così scontata, visto che il suo rinvio, forse al di là dell’opportuno, è stato dovuto proprio ai dubbi dei tedeschi, ma non solo, sul fatto che il Qe faccia parte a pieno titolo delle misure ammesse in un’unione monetaria che non è anche un’unione fiscale. Ma soprattutto Draghi ha anche riportato «a larga maggioranza» l’approvazione del Qe ora. Su questo punto, ha detto, non si è neppure votato, visto che le posizioni erano chiare, una prassi per la verità molto in uso alla Bce e che era la norma in epoche meno turbolente pre-crisi e su decisioni meno controverse. Alla fine, i dissenzienti sono stati lo stesso Weidmann, l’ex vicepresidente della Bundesbank e oggi membro del comitato esecutivo Bce, Sabine Lautenschlaeger, quindi entrambi i consiglieri tedeschi, oltre ai governatori di Olanda, Estonia e Lussemburgo. Per Draghi, tutto sommato, un successo, visti i toni abbastanza aspri emersi alla vigilia e anche nel confronto serratissimo nel pomeriggio di mercoledì e a cena. Quanto a tacitare i suoi critici tedeschi, quella è probabilmente una missione impossibile anche per Super-Mario.

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