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Non c’è Qe senza investimenti

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DOPO LA BCE

Non c’è Qe senza investimenti

Il programma di Quantitative easing (Qe) della Bce è più ampio del previsto, eppure perfino i suoi sostenitori temono che non possa bastare a risollevare i redditi reali, ridurre la disoccupazione e far scendere i rapporti debito pubblico/Pil. E fanno bene a preoccuparsi.
Ma prima la buona notizia: l’anticipazione del Qe ha già accelerato l’indebolimento dell’euro. Un euro più debole stimolerà le esportazioni dei Paesi dell’Eurozona – di cui circa la metà va nei mercati esterni – risollevandone il Pil. Il deprezzamento dell’euro farà aumentare i prezzi delle importazioni e il tasso dell’inflazione, allontanando l’Eurozona dalla deflazione. Purtroppo tutto ciò potrebbe non bastare. Negli Usa il Qe è riuscito, ma le condizioni di partenza erano molto diverse da quelle dell’Europa.

I Paesi dell’Eurozona non devono allentare i loro sforzi riformisti pensando che gli acquisti obbligazionari della Bce possano risolvere i loro problemi. E se non riescono a superare le barriere politiche per portare avanti le riforme strutturali nell’occupazione e nei mercati dei prodotti e migliorare produttività e competitività, possono sempre varare misure per stimolare la domanda aggregata. Sicuramente il pesante indebitamento dei principali Paesi dell’Eurozona preclude il ricorso a misure keynesiane – aumentare la spesa o ridurre le tasse – per incrementare la domanda attraverso maggiori disavanzi. Ma i governi dell’Eurozona possono cambiare la struttura fiscale facendo in modo di stimolare la spesa privata senza ridurre il reddito netto o far aumentare i deficit fiscali.

Prima però chiediamoci perché quella capacità di stimolare crescita e occupazione di cui il Qe ha dato prova negli Usa, potrebbe non valere nell’Eurozona. L’effetto del Qe sulla domanda Usa rispecchiava le condizioni del mercato finanziario nel 2008, quando la Fed ha cominciato il suo acquisto massiccio. All’epoca, il tasso di interesse sui titoli di stato decennali era vicino al 4%. L’aggressivo programma di acquisti obbligazionari della Fed e il suo impegno a mantenere bassi i tassi di interesse per un periodo prolungato, ha abbassato i tassi a lungo termine di circa l’1,5%. La caduta verticale dei tassi a lungo termine ha portato gli investitori ad acquistare azioni, facendone salire il prezzo. E i tassi di interesse bassi hanno stimolato una ripresa dei prezzi delle case. Nel 2013, l’indice Standard & Poor è salito del 30%. Nel 2013, la combinazione dei prezzi più alti di azioni e case ha fatto aumentare il patrimonio immobiliare netto di 10 trilioni di dollari, l’equivalente circa del 60 % del Pil di quell’anno. E ciò ha portato a sua volta a un aumento nella spesa al consumo, spingendo le attività ad aumentare la produzione e le assunzioni, portando redditi maggiori e di conseguenza una spesa al consumo ancora più alta. Così, la crescita reale del Pil (adattata all’inflazione) è salita al 4% nel secondo semestre 2013. Dopo una pausa legata alle condizioni climatiche nel primo trimestre del 2014, il Pil ha continuato a crescere a un tasso annuale di più del 4%. Dunque, il successo del Qe negli Usa è dipeso dalla capacità della Fed di far scendere i tassi a lungo termine. Nell’Eurozona, invece, i tassi a lungo termine sono già molto bassi, con i titoli di stato decennali a circa 50 punti base in Germania e Francia e solo 150 punti base in Italia e Spagna.

Il meccanismo chiave che ha funzionato negli Usa, dunque, non funzionerà nell’Eurozona. Abbassare il tasso di cambio del dollaro da 1,15 (il livello prima dell’inizio del Qe) alla parità, o ancora a meno, aiuterà ma probabilmente non sarà sufficiente. Per fortuna che il Qe non è l’unico strumento a disposizione dei policy maker. Ogni Paese dell’Eurozona può modificare le norme fiscali per stimolare l’investimento economico, l’immobiliare e la spesa al consumo senza far aumentare il deficit fiscale e senza chiedere il permesso alla Commissione.
Prendiamo l’obiettivo di stimolare l’investimento economico. Il credito d’imposta o il deprezzamento accelerato hanno fatto scendere i costi di investimento delle aziende e dunque aumentato i guadagni sull’investimento al netto delle imposte. La conseguente perdita di entrate potrebbe essere compensata da un aumento dell’aliquota dell’imposta per le imprese.

Allo stesso modo, la domanda di nuove case potrebbe aumentare permettendo ai proprietari di detrarre gli interessi sui mutui ipotecari (come si fa negli Usa) oppure concedendo un credito d'imposta sul pagamento degli interessi sui mutui. Un credito d’imposta temporaneo sull’acquisto delle case darebbe un’accelerata all’immobiliare, con una spinta maggiore nel breve termine più che in futuro. In questo caso, la perdita di entrate potrebbe essere compensata da un aumento dell'aliquota d'imposta personale.
L’impegno ad aumentare annualmente l’Iva di due punti percentuali nei prossimi cinque anni stimolerebbe gli acquisti adesso per cautelarsi da aumenti di prezzo futuri. La riduzione dei redditi reali provocata da un aumento dell’Iva potrebbe essere compensata dalla combinazione di riduzioni fiscali personali, imposte ridotte sui salari e maggiori trasferimenti.
I membri dell’Eurozona non possono adattare i tassi di interesse o i tassi di cambio, ma possono modificare le proprie misure fiscali per stimolare spesa e domanda, con policy adeguate e diversificate da paese a paese. Adesso i leader politici nazionali devono ammettere che il Qe non basta e cominciare a pensare a cos’altro fare per stimolare spesa e domanda.

(Traduzione di Francesca Novajra)
© PROJECT SYNDICATE, 2015