Le istituzioni pensano, non solamente esistono. Più sono stabili e autorevoli, più vi è continuità di pensiero tra coloro che, in fasi successive, detengono il potere al loro interno. Ed è ciò che continua ad avvenire con la Presidenza della Repubblica. Il discorso che il neo presidente Sergio Mattarella ha tenuto ieri di fronte alle Camere riunite del Parlamento appare in evidente continuità di approccio, di temi e di toni con quelli tenuti, nella stessa occasione, dai due precedenti presidenti, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano.
C'è un pensiero del Quirinale che si è istituzionalizzato negli ultimi quindici anni, trasformando la Presidenza della Repubblica nell'organismo di promozione di un riformismo ragionevole e condiviso per il nostro Paese. Di fronte all'istinto alla conservazione di molte istituzioni pubbliche, tra cui un Parlamento rimasto bloccato per un ventennio dai propri veti e rancori interni, il Quirinale è divenuto l'istituzione che meglio ha compreso il nostro dilemma nazionale – e cioè che il Paese deve cambiare se vuole essere fedele ai principii e ai valori del patto costituzionale che lo ha fondato –. Come ha detto il presidente Mattarella: «La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate ai mutamento dei tempi».
Tale apertura del Quirinale al cambiamento è dovuta alla sua europeizzazione. La Presidenza della Repubblica ha acquisito un'identità bicefala: una faccia guarda all'interno e l'altra all'esterno del Paese. Ciò vale anche per il governo, anche se il suo processo di europeizzazione è stato molto più contrastato. Non vale invece, di nuovo, per il Parlamento che, per sua natura e per le caratteristiche dei suoi membri, continua a essere un'istituzione preminentemente domestica.
Guardare la politica interna con gli occhi dell'Europa e del mondo significa vedere le cose in maniera diversa rispetto a chi non vede altro che il proprio ombelico. Dal Colle europeo è evidente che vi è, in Italia, «l'urgenza di riforme istituzionali, economiche e sociali», come ha detto ieri il presidente Mattarella. In un'Unione Europea (Ue) che ha acquisito un carattere sempre più intergovernativo, l'Italia è destinata alla marginalità politica se non si dota di un sistema istituzionale in grado di sostenere governi coesi e controllati. Per questo motivo, l'Italicum dovrà essere approvato in fretta dalla Camera dei Deputati, così come dovrà essere accelerato il processo di revisione costituzionale del bicameralismo simmetrico. Con le parole del presidente Mattarella, «occorre riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico». Nessun grande Paese europeo ha una struttura decisionale così farraginosa come la nostra. Dunque, continueranno a non avere una sponda sul Colle i conservatori-radicali di destra e di sinistra che si oppongono alle basilari riforme istituzionali avviate dal governo Renzi. Se non vogliamo essere dominati da altri Paesi europei, quelle riforme dovranno essere concluse in fretta, dando poi ai cittadini il diritto di valutarle in un referendum popolare. Allo stesso tempo, appare difficile che quei conservatori-radicali possano beneficiare del sostegno presidenziale per bloccare le riforme economiche avviate e da avviare. Un Paese ingessato da vent'anni dalle “consorterie”, come le ha chiamate il nuovo presidente, ha l'urgenza di portare avanti la riforma del mercato del lavoro avviata con il Jobs Act, di semplificare il sistema fiscale e contemporaneamente di irrobustire le misure contro la corruzione e l'evasione, di rendere le procedure amministrative e giudiziarie compatibili con le esigenze e i tempi di un mercato moderno. E in questo quadro lo sguardo del Presidente, per superare la crisi, è andato alle imprese, tutte le imprese, che innovano e competono sui mercati internazionali.
Infine, l'Europa continua ad essere la stella polare del pensiero del Quirinale. Ha detto ieri il presidente Mattarella: «L'Unione europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio». Non sono molti i capi di stato dei 28 Paesi membri dell'Ue che si esprimono, o si sono espressi, con questa chiarezza. In una delle fasi storiche più difficili per l'Ue, a fronte di richieste rumorose alla ri-nazionalizzazione delle politiche, l'Italia, attraverso il Quirinale, continua ad essere il Paese che con più determinazione e costanza difende le ragioni di un'Europa integrata. L'unificazione politica dell'Europa richiede il rilancio dei valori che stavano alla base dei Trattati di Roma del 1957, ma anche il riconoscimento degli interessi che debbono essere garantiti da quel progetto di unificazione. Ma anche qui il presidente Mattarella si è dimostrato consapevole che senza una ripresa economica diffusa e sostenuta, senza una crescita dell'occupazione e della produttività, senza una riduzione delle diseguaglianze ingiustificate, il progetto di un'Europa unita non potrà avere un futuro. Insomma, sulla necessità delle riforme e sul futuro europeo dell'Italia, si conferma quell'alleanza strategica tra il Quirinale e Palazzo Chigi che ha consentito al nostro Paese, tra il 2011 e il 2014, di evitare il baratro e quindi di cominciare a ricostruirsi come una moderna democrazia di mercato.
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