Commenti

La spallata a Syriza e le ragioni di un'intesa

  • Abbonati
  • Accedi
europa e grecia

La spallata a Syriza e le ragioni di un'intesa

C'è una speciale ragione che spiega la durezza degli altri governi nel respingere le richieste greche di revisione degli accordi europei. Se disinnescano il tentativo di spallata di Syriza, i governi in carica dimostrano che anche le promesse degli altri partiti euro-scettici – radicali o populisti a seconda dei punti di vista – sono irrealistiche.

Per molti leader, dalla Francia alla Finlandia, dalla Spagna alla Germania, è una questione di sopravvivenza politica dimostrare che le regole europee andranno rispettate da chiunque governi, a cominciare da Syriza.
Tuttavia sbaglierebbero a tirare troppo la corda. Per ragioni sia etiche – gli errori della troika coinvolgono i creditori nella responsabilità dei problemi greci – sia pratiche: a gennaio i risparmiatori greci hanno ritirato 11 miliardi di depositi dalle banche. Ne avevano già ritirati quattro a dicembre. Il sismometro dei depositi greci è forse l'indicatore seguito con più apprensione in Europa. Le banche sono estremamente fragili e secondo Reuters due istituti hanno già richiesto fondi alla Banca di Grecia. In assenza di accordi politici, per ragioni legali la Bce potrebbe sospendere l'assistenza di emergenza con cui provvede liquidità al Paese. Atene rimarrebbe appesa a una moneta elettronica creata dalla Banca centrale nazionale che darebbe vita a qualcosa di diverso dall'euro. Sarebbe l'inizio della fine.

Per questa ragione l'incontro di ieri del ministro delle Finanze greco Varoufakis con il vertice della Bce era tanto importante. Poteva finire in uno scambio di ricatti: se non rispettate il programma della troika non vi finanziamo; se non ci finanziate, si rompe l'euro. Ma il linguaggio sembra essere stato invece conciliante, Varoufakis ha promesso di rispettare le regole mentre cerca una soluzione con i partner sul debito. Il governo dispone ancora di risorse fino a giugno, ma chiede alla Bce di non abbandonare le banche e di costruire un contratto-ponte per un paio di settimane. La Bce, esposta a una responsabilità politica non sua, ha chiesto che Atene trovi un accordo con l'Eurogruppo entro il 16 febbraio.
Per allora l'accordo va trovato. Oltre all'interesse politico nel disinnescare i partiti anti-europei, i governi hanno interessi economici che non si misurano solo in miliardi di crediti da recuperare. L'economia europea si trova di fronte al più classico dei bivi, già descritto il 23 gennaio su queste colonne come un'alternativa bipolare tra “euforia e depressione”. Una crisi in Grecia potrebbe portare dalla parte sbagliata. L'allentamento quantitativo della Bce, per esempio, può rilanciare l'economia o isolare i Paesi indebitati. Al tempo stesso l'economia si trova nell'alternativa tra uno scenario di stagnazione secolare o invece un forte impatto ciclico alla crescita. Senza incidenti - la crisi greca, un aggravarsi del fronte ucraino o una nuova dimensione dell'instabilità della sponda sud del Mediterraneo - l'Europa sembra pronta a prendere il bivio dalla parte giusta. Il calo del prezzo del petrolio, il deprezzamento dell'euro, il miglioramento delle condizioni di credito e il fatto che la politica di bilancio nel 2015 non sia più restrittiva, possono dare il forte impulso alla crescita che manca da anni.

L'Italia è particolarmente esposta a questa alternativa. È il Paese che ha più beneficio dal superamento della frammentazione del mercato finanziario europeo, inoltre per la natura della propria produzione è molto favorita dal calo del petrolio e dell'euro. Ma è anche il Paese che subirebbe i danni maggiori se prevalesse lo scenario sfavorevole: si trova tuttora in una trappola debito-deflazione, con la discesa dei prezzi che pregiudica la sostenibilità del debito, e continua a soffrire di bassa produttività. Senza un forte impulso dal lato della domanda, le riforme che rendono la struttura del mercato del lavoro più rispondente alle necessità degli investitori non darebbero i benefici sperati.
Ci vorrebbe in Europa una politica di stimolo molto vigorosa, ma come ha dimostrato il modesto piano Juncker, non ci sono le condizioni politiche perché questo avvenga. Una crisi dell'euro riaccesa da Atene annullerebbe anche i progressi degli ultimi mesi.

© Riproduzione riservata