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Il triangolo di fuoco tra Grecia, Spagna e Italia

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EUROPA, DEROGHE E RIGORE

Il triangolo di fuoco tra Grecia, Spagna e Italia

Non occorreva certo la spruzzata di ottimismo del Forex, il consueto appuntamento degli operatori finanziari svoltosi a Milano nei giorni scorsi, per accorgersi che il vento dell'economia europea sta cambiando. È infatti da diverse settimane che i segnali incoraggianti si susseguono uno dietro l'altro: crollo del prezzo del petrolio, svalutazione dell'euro, Quantitative easing.

E, nel caso dell'Italia, a questi segnali che riguardano un po' tutti i paesi europei, occorre aggiungere almeno due altri elementi che, nel corso del 2015, potrebbero fornire ulteriore carburante all'economia: i 20 milioni di visitatori attesi per l'Expo di Milano, e la recentissima rivalutazione del franco svizzero, che darà un robusto impulso alle nostre esportazioni. Ecco perché, per una volta, le previsioni governative di crescita del Pil nel 2015 (+ 0.6%) potrebbero rivelarsi sbagliate per difetto, anziché per eccesso come quasi sempre avviene. Se tutto andrà per il verso giusto, l'economia italiana potrebbe anche tornare a crescere oltre l'1%, finalmente.

Ma andrà tutto per il verso giusto?

Fondamentalmente, dipenderà da due fattori. Il primo è la capacità del governo di passare dalle promesse ai fatti: Jobs Act, riduzione dei tempi di pagamento della Pubblica amministrazione, spending review. Il rischio è che, anziché approfittare della congiuntura favorevole, i nostri governanti preferiscano galleggiare sulla “ripresina” che si annuncia in Europa. Sarebbe un errore, e ci ritroveremmo ben presto a pagarlo, sotto forma di minore crescita, deterioramento dei conti pubblici, e nuove tasse che ne conseguirebbero, uno scenario del resto esplicitamente contemplato nella Legge di stabilità con le cosiddette clausole di “salvaguardia” (aumenti di Iva e accise in caso di buchi di bilancio).

Il secondo fattore che potrebbe vanificare i segnali incoraggianti che si stanno addensando in queste settimane è la crisi greca. Una crisi che, più passano i giorni, meno si sta rivelando esclusivamente greca. Il successo di Tsipras e il suo tentativo di scaricare sui partner europei il fardello del debito ellenico sta rimettendo in moto l'intera politica europea, ma lo sta facendo in modo tutt'altro che rassicurante. E questo per un semplice motivo: comunque vada il negoziato sul debito accumulato da Atene, la crisi greca è destinata a generare tensioni e instabilità.

Proviamo a immaginare. Se le autorità europee non permettessero a Tsipras di allentare l'austerità, o si limitassero a concessioni marginali, la crisi greca potrebbe precipitare, con fughe di capitali (peraltro già in atto da un paio di mesi), crollo della borsa, impossibilità di rifornirsi di liquidità sui mercati finanziari, disordini sociali, fino a un'uscita più o meno disordinata dall'euro.

Un'eventualità che sarebbe pagata duramente dai greci, ma che costerebbe cara anche agli altri paesi dell'eurozona, a partire da Germania, Francia e Italia, che con la Grecia vantano circa 150 miliardi di crediti. Dunque sarebbe meglio cedere alla Grecia?

Non è detto. Se Tsipras dovesse strappare concessioni significative, diventerebbe evidente la violazione dei trattati (divieto di mutualizzare i debiti degli Stati) che finora le autorità europee sono riuscite a occultare, ma che è implicita nelle concessioni fin qui fatte alla Grecia. Basta un'occhiata ai conti nazionali della Grecia e alla storia dei prestiti finora ricevuti per rendersi conto che lo Stato ellenico è fallito da anni, che l'Europa si è già fatta carico di una parte dei suoi debiti (l'allungamento delle scadenze dei pagamenti equivale a un taglio del debito), e che quasi certamente i creditori della Grecia non avranno mai indietro tutti i soldi che le hanno prestato. Un cedimento della Germania e di Bruxelles alle richieste di Tsipras innescherebbe tensioni non solo nei virtuosi paesi del Nord e dell'Est, ma soprattutto nei Pigs: come potrebbero fare i governi portoghese, spagnolo e irlandese a spiegare alle rispettive opinioni pubbliche che il loro debito è diverso da quello greco? Come giustificare anni di austerità volta a raddrizzare conti pubblici e bilancia dei pagamenti se ad uno, e uno soltanto, dei paesi sottoposti alla supervisione dell'odiata troika si concede di tagliare drasticamente i propri debiti?

La stessa Italia, che finora ha potuto evitare l'intromissione della Troika, faticherebbe a spiegare perché all'Italia si nega di sforare di qualche decimale nel rapporto deficit/Pil, mentre alla Grecia si concede l'ennesima dilazione nel pagamento dei suoi debiti; o come mai alla Grecia si concede di finanziarsi a tassi tedeschi (grazie alla benevolenza europea), mentre all'Italia si richiede di guadagnarsi sul campo la fiducia dei mercati finanziari.
Il pericolo, a quanto pare, è già stato prontamente avvertito da Renzi, che dopo mesi passati a criticare la rigidità delle regole di Bruxelles, non ha esitato a prendere le distanze da Tsipras e a dare qualche suo sostegno alla linea rigorista delle autorità europee. Una mossa che, forse, ha già dato qualche frutto, se è vero che negli ultimi due giorni il nostro spread con la Spagna è sceso a un livello che non aveva più toccato dal 26 maggio dell'anno scorso, il giorno dopo il trionfo di Renzi alle elezioni europee.

Ed è forse qui, nel triangolo Grecia-Spagna-Italia, che il rebus europeo si fa più insidioso che mai. Se, come molti auspicano e come è abbastanza probabile, l'Europa cederà a molte delle richieste greche, non solo diventerà più difficile “costringere” i Pigs a riformare le rispettive economie, ma diventerà inevitabile che in Spagna e in Italia, ma forse anche in Francia, la tentazione di “fare come la Grecia” finisca per rafforzare i partiti e i movimenti ostili all'euro, alla burocrazia di Bruxelles, alle politiche di austerità. Già oggi si pronostica una vittoria di Podemos in Spagna, ma nulla esclude che l'incendio dilaghi anche in Italia, intorno al movimento Cinque Stelle, o addirittura in Francia, intorno al Front National. Né vale ricordare che l'idea di Europa dei populisti di sinistra è profondamente diversa da quella dei populisti di destra: dopo anni di sacrifici, austerità e stagnazione, l'ostilità verso l'Europa e le sue istituzioni è così forte da rendere plausibili anche gli scenari politici più strampalati.

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