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Non è il surplus il problema tedesco

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BERLINO DEVE AUMENTARE LA DOMANDA

Non è il surplus il problema tedesco

Un attivo record in un contesto economico globale non esattamente facile. La Germania si è confermata una formidabile macchina da export anche l'anno scorso registrando un surplus commerciale di 217 miliardi di euro. Come sempre è la domanda esterna a trainare la prima economia dell'Eurozona. Con buona pace dei partner europei che continuano a chiedere a Berlino un aggiustamento dello squilibrio “in eccesso”. Non certo grave come quello classico, vale a dire il rapporto deficit/Pil, ma tale da infastidire quanti premono sui tedeschi affinché facciano di più per rafforzare la debole ripresa in atto nell'Unione monetaria.

La Germania è sotto osservazione della Commissione europea, ma finora non ha dato prova di voler e soprattutto poter invertire i fattori di crescita. La domanda interna a dire il vero, con un regime di quasi piena occupazione e con un ciclo abbastanza recente di generosi aumenti salariali, non è piatta come nella prima decade del Duemila, ma non è tale da permettere il riequilibrio strutturale che anche gli americani pretendono. Molti si chiedono: ma che cosa se ne fa la Germania di un surplus corrente così importante e di un pareggio di bilancio raggiunto con un anno di anticipo - sempre quest'anno - rispetto alla tabella di marcia?

Domanda per ora senza risposta, almeno da parte tedesca. Qualcuno arriva addirittura a “criminalizzare” questa naturale vocazione all'export, ignorando che dentro l'export tedesco, e sulla base della nuova catena globale del valore, c'è tanta componentistica polacca, slovacca, ceca e ovviamente italiana. Se la Germania esporta di più, un Paese come il nostro specializzato nella meccanica di precisione e nei macchinari sofisticati esportano a loro volta di più: non solo e soprattutto verso Berlino, ma verso la Cina e gli altri grandi emergenti. Chiedere ai tedeschi di esportare di meno è idiota, eppure c'è qualcuno che lo auspica in nome del riequilibrio delle partite correnti nell'ambito dell'Euroarea. In realtà, a ben vedere, l'avanzo nei confronti dei partner della moneta unica è stato “solo” di 3,2 miliardi di euro l'anno scorso. Quindi non è questo il cuore del problema. Ciò che è lecito chiedere a Berlino è di compiere maggiori sforzi , sul fronte della domanda interna, per quanto riguarda gli investimenti pubblici, in particolare nelle infrastrutture (sui consumi, soprattutto di beni durevoli, è difficile che i tedeschi possano individuare prodotti sostitutivi in Europa e forse nemmeno in Italia).

Il Diw, uno dei più importanti istituti di ricerca economica del Paese, ha trasformato il tema in un cavallo di battaglia già un paio d'anni fa, svelando al mondo il ritardo tedesco in materia. Finora però, anche su questo fronte, Berlino si è dimostrata poco sensibile. Si può fare, ha detto il ministro delle Finanze Schaeuble, ma senza compromettere il consolidamento di bilancio. Vale però la pena di ricordare che in Germania ci sono colossi industriali con una capacità di investimento tra le più alte al mondo. Volkswagen ha messo sul piatto 86 miliardi nei prossimi quattro anni, metà dei quali in Germania. Daimler 25 miliardi in due anni. Assieme fanno impallidire il capitale di partenza del piano Juncker.

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