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Il bazooka di Draghi e la debolezza dei greci

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lezioni della crisi

Il bazooka di Draghi e la debolezza dei greci

Che cosa dobbiamo aspettarci dal vertice di domani dei 19 ministri delle finanze europei sul caso-Grecia? Se ci si basa sulle aspettative dei mercati, la riunione avrà un esito positivo per Atene e per l'Europa: le Borse, da Londra a Milano, sono risalite ieri ai massimi di 7 anni, i tassi di interesse dei titoli di Stato di Grecia, Italia, Spagna e Portogallo sono scesi mentre quelli di Germania, Inghilterra e Giappone (i cosiddetti “safe haven”) sono saliti.

Persino l'euro, termometro valutario della crisi dell'eurozona, ha tenuto bene le posizioni sul biglietto verde: il lieve rafforzamento del dollaro registrato ieri, infatti, è più imputabile all'attesa dei mercati per le minute della Fed sulle prospettive dei tassi Usa che a un cedimento delle scommesse sulla soluzione del caso-Grecia. Isomma, crisi chiusa dopo il vertice di domani? La risposta, come ha giustamente già replicato l'Europa (e non più solo la Germania), è nelle mani dei greci: non perchè siano loro a tenere sotto scacco l'avversario con la minaccia di uscita dall'euro e di un conseguente terremoto finanziario sul resto d'Europa, ma esattamente per la ragione opposta.
La Grecia non fa più paura. Quelle che per molti mesi sono state considerate da Atene, dai mercati e dall'Europa come temibili armi negoziali - blocco delle privatizzazioni e delle riforme, insolvenza sul debito e uscita dall'euro - si sono rivelate nella realtà del tutto inconsistenti, o quanto meno inefficaci a porre la Grecia in una posizione di forza nella rinegoziazione delle condizioni sui prestiti imposte dalle istituzioni internazionali.
Il gioco dei greci ha funzionato infatti - e anche conquistato simpatie - finchè si è pensato che il costo di una rottura traumatica tra Bruxelles e Atene avrebbe avuto conseguenze drammatiche per la stabilità dell'euro, dell'Europa e del suo sistema finanziario. In questo modo è stato gioco facile per Tsipras spostare il peso della responsabilità sull'esito del negoziato interamente sulla Germania, spingendo persino gli Stati Uniti a un appello pubblico a favore della causa greca.

«Se respingono le nostre richieste - si è spinto a dire Tsipras - e ci fanno uscire dall'euro, sarà l'equivalente una di una terza guerra mondiale». E tra le prime vittime della guerra, ovviamente, il governo greco ha messo Italia e Spagna, considerati inizialmente potenziali alleati. Ma di minaccia in minaccia, Atene sembra aver poi perso di vista lo scenario reale in cui si stava avviando il negoziato: invece di cadere davanti alla rigidità tedesca, i mercati borsistici e obbligazionari ne hanno quasi preso forza, arrivando ieri a chiudere ai massimi di sette anni dopo aver superato senza traumi le schermaglie dialettiche e le frequenti rotture delle trattive, compresa quella di lunedì scorso che sembrava invece fatale. In questo senso, il primo allarme è suonato ad Atene la scorsa settimana, quando la tensione era ancora altissima, quando Italia, Portogallo e Spagna hanno collocato titoli di Stato con tassi ai minimi storici o comunque - come nel caso di Lisbona - ai livelli più bassi dall'esplosione della crisi del debito cinque anni fa. Senza contare che nel resto d'Europa i tassi o sono vicini a quota zero o sono addirittura negativi: di effetto domino o contagio nessuno ha visto traccia. Un vero ribaltone di aspettative e timori, quello che si è verificato dall'elezione di Tsipras all'apertura delle trattative con l'Europa, che pochi si aspettavano e che ha letteralmente spiazzato sia il premier greco Tsipras che il suo braccio destro alle Finanze Varoufakis, esuberante nell'abbigliamento e soprattutto nella convinzione di poter vincere la partita contando solo sulle paure degli altri e sulla propria esperienza nella teoria dei giochi.

Ma come la Borsa e i tassi hanno smentito Atene, così si è rivelata anche la scommessa di una convergenza di posizioni negoziali prevista dal teorema: il realismo dei tedeschi si è rivelato ben più concreto dei modelli teorici su cui si basava Varoufakis. E proprio per questo la Merkel non ha ceduto di un passo sulla richiesta-base per un negoziato: la riconferma da parte greca degli impegni assunti nel piano di salvataggio del 2012. Così, per quanto avventurieri, sia Tsipras sia Varoufakis sono tornati lunedì sera con i piedi per terra: pur non annunciando la disdetta del piano-aiuti ma la sola richiesta di una sua estensione per sei mesi, i due politici greci hanno reso palese la propria debolezza negoziale. E al di là dei proclami battaglieri, sanno bene che se nel testo della loro proposta che sarà discussa venerdì non è confermato a chiare lettere il rispetto degli impegni presi con la Bce, l'Fmi e la Ue, né Draghi né Bruxelles saranno disposti a finanziare le banche e trattare un nuovo salvataggio. E di questo sono ormai convinti anche i risparmiatori greci, che dopo aver già tolto dalle banche gran parte dei risparmi in euro sono corsi ieri ai bancomat per la paura di ritrovarsi presto con la dracma. L'illusione dei greci, insomma, sembra essere finita: dopo due ristrutturazioni del debito e soprattutto dopo che la Bce di Mario Draghi ha caricato il suo bazooka monetario con cartucce anti-crisi per 1.100 miliardi di euro, i mercati sanno di poter contare su un livello di liquidità sufficiente per sopportare non solo un eventuale tracollo finanziario della Grecia e delle sue banche, ma anche l'ipotesi di un suo abbandono dell'euro.

In altre parole, la vera lezione che vale oggi per la Grecia ma che dovrebbe far riflettere chiunque pensa di poter ancora giocare in Europa partite solitarie sull'euro o sulle riforme, è che nel nuovo contesto finanziario garantito dalla Bce la protezione non è garantita in assoluto, ma solo condizionata ai comportamenti: ad essere negato non è il diritto di economie deboli come la Grecia di ridiscutere prestiti e riforme su basi più sopportabili, ma non c'è spazio per chi tenta di farlo senza rispettare le regole del gioco, minacciando di far saltare il banco se non vince la partita. Il banco - cioè l'euro - ha oggi denaro per neutralizzare le crisi e forza politica per far rispettare le regole. Al di fuori c'è il buio. Tsipras, come Varoufakis, sembrano averlo capito bene: se non è contagioso, il malato non fa paura.

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