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Il disinteresse americano

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l’onu «disarmata»

Il disinteresse americano

Perché intervenire militarmente in una Libia sprofondata nel caos?
È la stessa domanda che si fece nel 2011 la comunità internazionale quando Francia e Gran Bretagna ottennero dall'Onu le risoluzioni 1970 e 1973 per bombardare le truppe di Gheddafi a Bengasi.

Questa volta non ci sarà nessuna decisione del genere: al Consiglio di Sicurezza non si prevede un intervento militare straniero. Anzi gli Stati Uniti, che quattro anni fa assecondarono le scelte di Parigi e Londra per abbattere il Colonnello libico, hanno subito frenato sull'ipotesi di un conflitto: per la verità gli americani neppure allora erano convinti di far fuori Gheddafi e dopo qualche settimana passata a lanciare Cruise sulle non troppo tetragone armate libiche misero gli aerei a terra e passarono la mano alla Nato. La Libia per gli Usa è una questione europea. Non costituiva più un interesse primario di Washington da quando Gheddafi nel 2004 aveva rinunciato alle armi distruzione di massa, ottenuta qualche tempo dopo la caduta di Saddam Hussein in Iraq: l'attacco al regime baathista convinse il Raìs libico che era meglio adeguarsi ai tempi se voleva evitare l'ondata bellicista dei neo-conservatori di Bush junior. Era già sopravvissuto ai bombardamenti di Ronald Reagan nel 1986 e non voleva ripetere l'esperienza. Per la verità gli Stati Uniti non si sarebbero più interessati davvero della Libia anche dopo la fine sanguinosa del dittatore se a Bengasi non fosse stato ucciso nel 2012 l'ambasciatore americano Chris Stevens, proprio nel giorno dell'anniversario dell'11 settembre mentre nel mondo arabo le piazze si infiammavano per le vignette su Maometto pubblicate da un giornale danese, il motivo dell'ultimo attacco jihadista a Copenhagen. In questa catena di eventi gli americani si sono vendicati catturando nel 2014 a Tripoli Abu Anas al Liby, esponente di Al Qaeda considerato la mente degli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania del 1998 (Liby morirà poi per malattia in carcere negli Stati Uniti).

La Libia non compare nella lista delle priorità di Barack Obama. Questo non significa che non ci sia preoccupazione per l'espansione del Califfato sulle coste libiche ma la Siria e l'Iraq sono assai più importanti di Tripoli e Bengasi. Il presidente ha appena chiesto al Congresso poteri di guerra contro Siria e in Iraq, con limiti precisi all'azione militare, e non intende impiegare le forze armate su altri fronti. Un intervento in Libia viene quindi così escluso da Casa Bianca e Pentagono concentrati sulla guerra in Medio Oriente. Lo dimostra anche l'annuncio in queste ore dell'accordo con la Turchia per addestrare congiuntamente una forza militare da schierare in Siria: un tentativo di mettere insieme i diversi obiettivi di Ankara e Washington. I turchi vorrebbero come bersaglio principale la fine di Bashar Assad, gli Stati Uniti fermare l'avanzata dell'Isil.
Ma soprattutto si sta preparando l'offensiva per riconquistare Mosul, seconda città irachena. L'aviazione americana avrà un ruolo fondamentale, così come le truppe di terra Usa che affiancheranno i soldati di Baghdad. Sarà questa la prima volta che i marines si troveranno faccia a faccia con i miliziani del Califfato. È su questo fronte che l'America sarà in prima linea, non in Libia.

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