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Quella fortezza del capitalismo italiano

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la realtà industriale

Quella fortezza del capitalismo italiano

Nel giorno del dolore – le esequie del Signor Michele – vale la pena analizzare con razionalità – non fredda e distaccata, ma oggettiva e partecipe – il profilo industriale (e le prospettive strategiche) di uno dei maggiori – e meglio funzionanti – gruppi italiani.

Alcuni nodi dovranno essere sciolti. Ma la fortezza – come uno dei castelli delle Langhe - è solida. Secondo i bilanci riclassificati da R&S Mediobanca, a livello di Gruppo Ferrero Spa negli ultimi cinque anni il fatturato netto è aumentato del 22%, attestandosi a 2,7 miliardi di euro. Questo, quasi a parità del perimetro occupazionale: se nell’esercizio 2008-2009 (il bilancio si chiude al 31 agosto) gli occupati erano 5.949, in quello 2012-2013 sono saliti di poco, a 6.114. Lo stesso capita a livello di Ferrero International, che consolida tutte le attività mondiali, dove in cinque anni i ricavi totali sono cresciuti del 27% - da 6,34 miliardi di euro a 8,1 miliardi di euro - , mentre gli occupati sono rimasti quasi stabili (da 21.555 a 22.831). Ogni dipendente del Gruppo Ferrero Spa è passato a produrre dai 379mila euro di fatturato dell’esercizio 2008-2009 ai 441mila euro di cinque anni dopo (+16%). Il valore aggiunto netto per dipendente è aumentato da 85mila euro a 102mila euro (+ 20%). Una tendenza confermata a livello globale anche dalla Ferrero International, il cui fatturato per dipendente sale dai 294mila euro di cinque anni fa a 355mila euro (+20%, dunque). Gli indici sul fatturato netto – a livello di consolidato di Ferrero International – sono costanti: fra il 2008-2009 e il 2012-2013, il valore aggiunto è mediamente compreso fra i 32 e i 33 punti percentuali, mentre il margine operativo lordo è fra i 16 e i 17 punti percentuali. Questa costanza rappresenta il maggiore timbro della cultura industriale e manageriale del gruppo.

E appare assai interessante, dato che – al di là della capacità endogena di buona conduzione degli stabilimenti e del buon controllo di gestione industriale – è il risultato di due elementi esogeni, direttamente collegati ai mercati mondiali: da un lato l’abilità nel controllare la volatilità dei prezzi delle commodity e, dall’altro, la capacità di farsi riconoscere il valore dal mercato e dai consumatori finali. Secondo R&S Mediobanca, l’indice dello zucchero grezzo è fluttuato da 100 punti del 2009 a126,6 nel 2010, da 161,2 nel 2011 a 120,9 nel 2012, fino a 100,7 nel 2013. Il cacao da 100 punti nel 2009 è schizzato a 118,9 nel 2010, da 101,4 punti nel 2011 a 89,6 nel 2012, fino a 87,7 nel 2013. Onde non semplici da cavalcare, per ogni multinazionale dell’agroalimentare. Stando a R&S Mediobanca, che ha fissato a 100 il numero indice dei prezzi medi dei prodotti nell’esercizio 2008-2009, nel 2012-2013 le tavolette di cioccolato sono salite a 107, la Nutella è cresciuta a 115,5 e la Fiesta Snack è aumentata a 118. In questa doppia partita – gestione delle fluttuazioni delle commodity e prezzo finale riconosciuto dai consumatori, la mitica “Valeria” invocata nelle sue conversazioni private dal Signor Michele – c’è uno dei segreti della Ferrero: «Da sempre – nota Denis Pantini, capoeconomista del settore agroalimentare di Nomisma – l’azienda ha costruito catene del valore integrato. Dalla materia prima, per esempio la nocciola ottenuta dai contadini o coltivata direttamente, al prodotto finale con marchi riconoscibili e di grande fascino. Estraendo così tutto il valore possibile». Sotto questo profilo, un caso da manuale di buon capitalismo ai tempi della globalizzazione. La Ferrero non è agganciata a una catena del valore globale.

La Ferrero è essa stessa una catena del valore globale. E lo era già prima che esistesse la globalizzazione. Anche per questo profilo strategico-industriale, che resta la maggiore eredità del Signor Michele, a nessuno ad Alba è mai venuto in mente di comprimere i salari. «Innovare, investire, provare – dice quasi commossa Stefania Crogi, segretaria della Flai,gli alimentaristi della Cgil – e mai a scapito dei diritti e della dignità dei lavoratori». E, con il fare della sindacalista pratica, Crogi ricorda: «Poche settimane fa, ad Alba, abbiamo stabilizzato 25 persone, passate a tempo indeterminato. Ora è in atto un confronto per fare lo stesso con una ottantina di ragazzi. Al di là del dolore per la perdita di un grande uomo come Michele Ferrero, non ci sarà alcun vuoto di potere. Da quando, quattro anni fa è scomparso suo fratello Pietro, Giovanni ha la leadership». Di certo, la scomparsa traumatica di Pietro (in quel momento responsabile delle fabbriche e del prodotto, mentre Giovanni si occupava di marketing e di reti commerciali) e lo spegnimento fisiologico del capostipite hanno accelerato, intorno a Giovanni, la costruzione di un team manageriale. «Non parlerei di una managerializzazione incipiente – nota l’ex sindaco di Alba Giuseppe Rossetto, avvocato e dal 2006 al 2013 membro del Cda di Soremartec, la società di invenzione e sviluppo dei prodotti – la famiglia è saldissima e centrale, ma certo è venuta naturale l’ulteriore edificazione di una dirigenza affiatata e con compiti operativi precisi». Chi osserva da vicino le dinamiche del gruppo nota come, negli ultimi mesi, la Soremartec – il cuore della ricerca dei nuovi prodotti, 450 addetti, 300 dei quali ad Alba e gli altri fra il Lussemburgo e Monaco – sia entrata ancora più direttamente nell’orbita di Giovanni, che non potrà non continuare a conferire all’intero gruppo il suo timbro di uomo del marketing e delle reti commerciali.

«Non mi stupirebbe – osserva Bernardo Bertoldi, specialista di capitalismo familiare dell’università di Torino – che rendesse più netta l’attuale impostazione dell’azienda: pochi selezionati prodotti, da proporre sui mercati globali». Dunque, il refrain sembra quello della continuità. Negli ultimi cinque esercizi la Ferrero International ha prodotto un risultato netto cumulato di 2,854 miliardi di euro con un Roi compreso fra il 22,2% e il 25,7% e un Roe incluso fra il 24,3% e il 39,4 per cento. Di fronte a questi numeri e al passaggio simbolico e concreto della scomparsa del capostipite, è prevedibile che all’aeroporto di Torino ricomincino ad atterrare i banchieri d’affari di tutto il mondo, pronti a salire su un taxi per Alba con le loro cartelline contenenti proposte di quotazione in Borsa e di M&A, le operazioni di acquisizione e di fusione alla fine sempre rifiutate con un sorriso cortese dal Signor Michele.