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La «trappola» del presente

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La «trappola» del presente

Più pragmatici e concentrati sul presente, non rinunciano all'autonomia, anche se la crisi li costringe a vivere con i genitori. Eurostat ci ricorda che in Italia due giovani su tre vivono con la famiglia d'origine. Una percentuale elevatissima, addirittura doppia rispetto a Francia e Regno Unito, e di ben 17 punti superiore alla media europea. I numeri assoluti colpiscono ancor di più: si tratta di oltre 7 milioni di persone.

Crisi e mancanza di lavoro sono fra le cause che non consentono ai giovani di raggiungere l'autonomia. Ma non solo: gli stipendi bassi bastano per il presente, ma non per pianificare il futuro. Secondo il «Rapporto Giovani», l'indagine promossa dall'Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l'Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo su un panel di 5mila persone tra i 19 e i 32 anni rappresentativo a livello nazionale, il 75,7% (80% dei giovani al Sud, 71,4% al Nord) rinuncia a programmare il proprio futuro per affrontare le difficoltà del presente.
Nonostante tutto, però, l'autonomia è comunque ricercata e considerata un valore da raggiungere. I motivi? Mettersi alla prova con se stessi (84%), vivere più liberamente la relazione di coppia (74,6%), prendere decisioni da soli (72,6%), avere maggiori spazi e margini di azione (64%), ma anche sentirsi di meno un peso per la famiglia (56,4%).«Dati che indicano come la voglia di mettersi in gioco ci sia ancora - sottolinea Alessandro Rosina, tra i coordinatori del Rapporto Giovani -. Troppo spesso, e più che in altri Paesi, questa disponibilità si scontra però con le difficoltà e i fattori di scoraggiamento di un welfare inadeguato e di un mercato del lavoro inefficiente. Disoccupazione, impieghi precari e basso reddito stanno spingendo i giovani a essere sempre più pragmatici».
Se nel 2012 il lavoro era considerato più un luogo di autorealizzazione che un mezzo per procurarsi reddito, oggi la situazione è rovesciata: si punta a trovare un posto adeguatamente retribuito rinviando nel medio-lungo periodo obiettivi di autonomia e di realizzazione personale.

Questo “pragmatismo” risulta in linea con le aspettative sul reddito che si pensa si arriverà a guadagnare a 35 anni, età in cui l'entrata nella vita adulta dovrebbe essere pienamente compiuta. Lo stipendio “ragionevole” e adeguato è compreso per circa il 70% degli intervistati tra i mille e i 2mila euro. Ma la realtà offre una diversa fotografia: oltre la metà del campione è convinto che la retribuzione sarà inferiore a 1.500 euro al mese. E i valori si abbassano notevolmente per le categorie più svantaggiate nel mercato del lavoro, cioè per le donne (il 41,5% si aspetta di guadagnare tra 1.000 e 1.500 euro rispetto al 33,8% dei maschi) e i giovani del Sud (uno su cinque si aspetta uno stipendio inferiore a mille euro, contro il 9% dei residenti al Nord). La stima al ribasso sui redditi, poi, diventa, all'aumentare dell'età, un rinvio dei tempi di autonomia con effetti negativi a cascata su tutte le scelte di vita.

«Se in positivo i giovani si stanno adattando sempre di più - conclude Rosina -, c'è però il rischio di trovarsi non solo intrappolati in percorsi professionali di basso profilo, ma anche di rimanere con progetti di vita incompiuti. Molti partono con alte aspettative e con progetti ambiziosi, via via ci si trova però a rinviare progressivamente la realizzazione in ambito lavorativo, a posticipare la formazione di una famiglia, ad abbassare le aspettative su reddito, numero di figli, condizioni di benessere economico e sociale. E così viene anche compressa la possibilità che i giovani diano un contributo di qualità allo sviluppo del Paese, oltre che alla sostenibilità del suo stato sociale».

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