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Il gioco della torre che paga il Paese

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MERCATI E POLITICA

Il gioco della torre che paga il Paese

Buttiamo giù il mercato o la politica? La partita delle torri, aperta fulmineamente da Mediaset che ha lanciato la scalata per il controllo di Rai Way (società pubblica che a sua volta possiede oggi le antenne che trasmettono il segnale tv sul territorio nazionale), rischia di finire col gioco della torre. Magari nella particolare versione italocentrica dove, pur tra spintoni e colpi bassi, nessuno cade. E nulla cambia, in un senso o nell’altro, con il Paese che paga sempre e comunque un prezzo altissimo.

In un’Italia, nonostante la gravissima crisi, potenza industriale di primo livello, sarebbe normale che tra le ragioni economiche e industriali e le ragioni politiche si trovasse una sintesi utile per tutti al termine di un confronto aperto e trasparente. Ma così non è, e non da oggi. Nel caso specifico, Mediaset, gigante privato, sottintende un altro nome, Berlusconi, che richiama all’arcinoto “conflitto d’interessi”. Rai Way vuol dire Rai, il colosso pubblico controllato dal ministero dell’Economia, cioè dal Governo, fonte di poteri grandi e piccoli e legata comunque a doppio filo con la politica ed i partiti.

Accade questo. Alla vigilia del consiglio di amministrazione Rai che ha all’ordine del giorno il piano di autoriforma (bocciato dalla Commissione parlamentare di vigilanza e contestato all’interno dell’azienda) del direttore generale Luigi Gubitosi per il riordino della informazione pubblica e che potrebbe affrontare anche il “caso Verro” (il consigliere Rai in quota Forza Italia autore di una lettera all’allora premier Berlusconi per “normalizzare” otto trasmissioni sgradite al Cavaliere), Mediaset mette sul piatto un’offerta da oltre un miliardo per l’acquisto di Rai Way. Obiettivo: «piena integrazione industriale» di Ei Towers (la società delle torri Mediaset) con Rai Way, da appena tre mesi quotata in borsa, per creare un operatore unico delle torri broadcasting.

La Rai considera «ostile» l’offerta e d’altra parte un decreto di Palazzo Chigi del settembre 2014 fissa al 51% la soglia per mantenere in capo alla Rai la quota minima nel capitale di Rai Way. Insomma sotto questo profilo la partita pare chiusa sul nascere, prima ancora che alla parola Mediaset si associ il nome Berlusconi, e non si capisce perché un operatore privato non possa in Italia prendere in mano la partita delle torri. Tanto è vero che al mercato un’operazione del genere piacerebbe, eccome (anche se va fatta piena luce sugli acquisti in Borsa di azioni Rai Way nei mesi scorsi, come riportiamo in questo articolo).

Ma Mediaset è un editore tv, e soprattutto vuol dire Berlusconi, il leader di Forza Italia portatore dell’irrisolto conflitto d’interessi. Problema oggettivo, ma di cui un largo fronte politico s’impossessa – tra battute facili e richiami al “patto del Nazareno” con Renzi – per tenere la Rai sotto scacco politico con inediti schieramenti trasversali. Già, perché non piace a sinistra il piano Gubitosi, non piace – in sostanza, da sinistra a destra – anche una mini riforma della legge Gasparri che spinga i partiti a fare un passo indietro nella gestione della Rai, non piace l’idea che il Governo possa su questo terreno giocare la carta del decreto legge, come ha fatto per le banche popolari (e qui Forza Italia, ovviamente sostenitrice della scalata Mediaset è schierata sul doppio no, al decreto e alla riforma della Gasparri).

Che urgenza c’è? Era il 1996 quando Walter Veltroni propose per la Rai il modello Bankitalia. Sono passati ormai vent’anni di polemiche furibonde, con e senza Berlusconi al governo, prima e dopo la legge Gasparri, e la Rai è sempre lì. Un gioco della torre dove nessuno cade e non s’affermano né il mercato e le buone idee industriali né le buone regole politiche.

@guidogentili1

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