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Le norme Ocse in arrivo spingono i big al dialogo

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PROGETTO BEPS

Le norme Ocse in arrivo spingono i big al dialogo

Il caso Google dimostra come le azioni di contrasto alla politiche di pianificazione fiscale aggressiva previste dal progetto Beps siano in parte già anticipate dai controlli fiscali effettuati dalle amministrazioni finanziarie nazionali.

Secondo le notizie di stampa diffuse ieri le contestazioni del fisco al gigante di Mountain View riguarderebbero gli schemi utilizzati in relazione allo svolgimento delle attività commerciali che secondo il modello di business digitale adottato Google vedono tassati i relativi profitti in Paesi a fiscalità agevolata invece che nel nostro territorio. Un modello che le Autorità nazionali e sovranazionali, ritengono comune ad altre Multinazionali e che sta incentivando il contrasto alle politiche di pianificazione fiscale aggressiva (“aggressive tax planning”) operate dalle imprese dell’economia digitale tramite la declinazione di un’azione specifica all’interno del progetto Beps (Action 1).

Il Beps mira infatti a contrastare lo “spostamento” di base imponibile dai Paesi ad alta fiscalità verso giurisdizioni con pressione fiscale bassa o nulla da parte delle imprese multinazionali, puntando a stabilire regole omogenee e condivise a livello internazionale. Il primo pacchetto di raccomandazioni, rilasciato lo scorso 16 settembre, redatto dai gruppi di lavoro Ocse con la collaborazione dei rappresentanti di circa 44 Stati (Paesi aderenti all’Ocse e alcuni non aderenti come Arabia Saudita e Cina), ha ad oggetto diverse problematiche, tra le quali appunto, le crescenti sfide a livello fiscale che impone l’evoluzione dell’economia digitale, nonché la necessità di prevedere modifiche alle regole internazionali sul transfer pricing.

L’evoluzione della Digital Economy e la maniera in cui si esplica, hanno pertanto generato e generano ulteriori potenziali minacce elusive, sia con riferimento all’imposizione diretta che indiretta, che i Beps mirano a mitigare. L’Action 1 del progetto Beps, ad esempio, prevede diverse aree di intervento che ad oggi non risultano adeguatamente regolamentate con riferimento ai nuovi modelli di business attuati dalle multinazionali del web, quali la valutazione della “substance” delle società costituite all’estero (secondo il principio della business reason a sostegno di determinate scelte operative a dispetto di scelte squisitamente fiscali), dell’esistenza di Stabili Organizzazioni e delle politiche di pianificazione fiscali in materia di Iva.

Si vuole infatti garantire che i profitti siano tassati nella giurisdizione nella quale l’attività economica è effettivamente svolta e dove avviene la produzione di valore; in relazione al concetto di stabile organizzazione (SO) ad esempio, in una società di e-commerce o di pubblicità online che utilizza la forza lavoro di un’affiliata locata in un giurisdizione estera per negoziare e concludere contratti di vendita con un ingente numero di clienti in Italia come anche le cosiddette attività ancillari di deposito o consegna dei beni acquistati tramite web, potrebbe appunto originare una SO, con conseguente assoggettamento ad imposta in Italia.

Nonostante non sia ancora pienamente consolidato, sulla base della presunzione che le amministrazioni fiscali adeguino le best practice fiscali all’Action plan, tarando su questo l’attività di accertamento dei fenomeni elusivi ed evasivi, molte Multinazionali, tra cui la stessa Google, avrebbero già avviato la revisione dei propri modelli di business ed operativi transfrontalieri al fine di evitare rischi sanzionatori e reputazionali.

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