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Il contagio «parziale» della trasparenza

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LOTTA ALL'EVASIONE

Il contagio «parziale» della trasparenza

Tutto è cominciato quando la principale banca elvetica, Ubs, ha offerto sul mercato Usa strategie aggressive di pianificazione per wealthy individuals, sostanzialmente destinate a riparare somme tassabili sotto la protezione del segreto bancario svizzero. La reazione degli Stati Uniti è stata l'applicazione unilaterale di norme interne anche a fattispecie poste in essere all'estero: con la normativa Fatca gli Stati Uniti hanno imposto alle banche estere - incluse evidentemente quelle svizzere - non solo di rendere disponibili a richiesta i dati dei propri clienti come era previsto nella previgente disciplina dei qualified intermediaries, ma anche di trasmettere attivamente informazioni al Tesoro americano, pena essere soggetti a una imposta sanzionatoria del 30% sugli investimenti negli Usa. Successivamente, i governi locali si sono assunti l'obbligo di raccogliere i dati dagli intermediari locali e trasmetterli in via automatica al Tesoro. Questo modello è stato di fatto adottato da altri paesi, laddove essi hanno “imposto” attraverso accordi a Stati della fonte l'accesso ai dati dei contribuenti, una situazione in cui spesso non vi è alcuna reciprocità (si pensi al caso dell'Italia e della Svizzera).

Se ogni Stato è un nodo della rete che li collega, la network science può spiegare l'effetto “virale” che si è attivato attraverso l'adozione di questo modello: da una consolidata ritrosia allo scambio di informazioni da parte degli offshore financial centers si è passati a un effetto di massa, in cui queste giurisdizioni firmando tra loro e con paesi Ocse convenzioni per lo scambio di informazioni si sono tramutati da black listed countries a white listed countries.

Si è concretizzato un tipping point, un effetto soglia in cui le banche, ad esempio quelle elvetiche, da gelose custodi della riservatezza dei clienti diventano zelanti collaboratori del fisco estero. Questo effetto soglia è invero determinato da un meccanismo di endemici trapianti giuridici in cui il precedente regime di riserbo si trasforma in cooperazione “spontanea” coi governi esteri. Il tutto è non solo condizionato, ma reso possibile da un'information technology in grado di gestire masse di dati con capacità molto superiori rispetto al passato. E dunque la concorrenza tra sistemi nell'attrarre investimenti si trasforma, in un un mercato tendenzialmente trasparente, in concorrenza sulle aliquote, piuttosto che in concorrenza a offrire “riparo” agli investimenti. Questa situazione si stabilizzerà ulteriormente a breve, quando lo scambio di informazioni automatico non sarà più ristretto ad aree regionali, ma diverrà pienamente multilaterale nella comunità degli Stati. Ogni Stato della residenza potrà quindi inseguire ovunque i propri contribuenti, di fatto vanificando la concorrenza sulle aliquote attuata dagli Stati della fonte.

C'è però un'asimmetria: mentre ciò è pienamente vero per le persone fisiche, non lo è per le multinazionali. E infatti i redditi delle controllate estere, salvo norme anti-elusive come le Cfc, non sono tassabili per la controllante nello Stato di residenza. In Europa grazie all'esenzione dei dividendi reimpatriati, negli Usa di fatto attraverso la prassi di non distribuire i dividendi. Tant'è vero che per gli Usa vi sono più di tre trilioni di dollari di profitti mantenuti all'estero (con il lock out effect) e per questo si intende introdurre un'addizionale del 14% su tali profitti (una specie di sanatoria, poiché l'aliquota ordinaria sarebbe 35%).

Certo la ratio dell'esenzione dei redditi societari esteri è assicurare alla mobilità del capitale, ad esempio delle imprese italiane, lo stesso trattamento riservato alle imprese locali nei mercati in cui vanno ad operare. E allora perché non estendere lo stesso trattamento alla mobilità di capitale e lavoro di persone fisiche? Tra l'altro, l'esenzione dei redditi societari esteri nello Stato di residenza spesso si risolve in una doppia esenzione in quanto gli Stati della fonte non riescono a tassare (vedi le grandi multinazionali digitali Usa, con scarsa o limitata tassazione sia negli Usa che nei mercati esteri).

Ci si domanda allora perché il modello dello scambio multilaterale automatico non venga esteso alle imprese multinazionali. Uno scambio molto più agevolmente attuabile rispetto alle persone fisiche, visto che il numero dei gruppi transnazionali è ristretto. L'informazione avrebbe inoltre a oggetto bilanci societari e contabilità fiscale, informazioni di elevato contenuto e attendibilità. È evidente che in tale regime gli Stati della residenza avrebbero la possibilità di tassare i redditi delle proprie imprese multinazionali consolidandoli, come del resto già fanno con le persone fisiche con lo scambio automatico unilaterale. In questo modo vi sarebbe reale concorrenza sulle aliquote societarie degli Stati della residenza, che sarebbero responsabilizzati a introdurre aliquote competitive: le imprese, più mobili delle persone, tenderebbero ad abbandonare la giurisdizione di origine per acquisire efficienze di gestione e aliquote più contenute.

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