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La riscossione resta un'incompiuta

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L'ANALISI

La riscossione resta un'incompiuta

La capacità dei Comuni di incassare le proprie entrate è un problema di democrazia, per due ragioni semplici. Primo: tasse e tariffe locali si sono impennate in questi anni per fronteggiare i tagli a ripetizione imposti dalle varie spending review. Secondo: se c'è chi non paga, qualcun altro è chiamato a pagare di più, proprio per questa cura continua che investe i sindaci. Non serve un master in scienza delle finanze per capirlo, ma l'evidenza del problema non ha impedito ai Governi di centro-destra, tecnici, di larga coalizione e di centro-sinistra di lasciar macerare per quattro anni la riforma della riscossione locale.

Nell'estate del 2011 (Governo Berlusconi) la politica si è accesa in una delle sue cicliche emergenze e ha stabilito che Equitalia avrebbe dovuto abbandonare i Comuni per essere sostituita da una «riscossione dal volto umano». Tanta urgenza si è tradotta subito in un decreto legge (per gli appassionati del genere, la riforma è scritta nel Dl 70/2011, all'articolo 7, comma 2, lettera gg-ter, sotto il titolo involontariamente ironico di «semplificazione fiscale»), ma poi nessuno si è affannato a pensare come sostituire l'agente nazionale della riscossione. È iniziata così la solita catena infinita delle proroghe, che ha spostato la data dell'addio di Equitalia a metà 2012, poi al 2013, poi al 2014, fino a fissarla ora al 30 giugno 2015. E nessuno ha dubbi sul fatto che la prossima mossa sarà un altro rinvio, almeno a fine anno. Nel frattempo, infatti, dal decreto d'urgenza il tema è passato a una legge delega, quella sulla riforma fiscale, ma nemmeno questa viaggia a ritmi particolarmente spediti, al punto che il Parlamento ha appena concesso sei mesi in più al Governo. Un pacchetto nutrito di provvedimenti attuativi, dal Catasto alla fatturazione elettronica, è dato come imminente da parecchi giorni, ma di questo gruppo non fa parte il provvedimento sulla riforma della riscossione.

In un settore delicato come la raccolta dei soldi dei cittadini, tanta incertezza ha naturalmente effetti deleteri. Per capirlo è sufficiente riflettere sul fatto che la riscossione coattiva, che scatta quando il pagamento non è spontaneo, è un processo lungo, che richiede mesi e spesso anni: se Equitalia deve abbandonare il settore, con un addio sempre rinviato ma sempre imminente, difficilmente metterà i tributi locali al centro della propria strategia e del proprio impegno. Accanto all'agente nazionale, operano le società private iscritte all'Albo, che oltre ad affrontare i rebus annuali delle imposte che cambiano nome e regole sono eternamente appese a un'incognita che mette a rischio qualsiasi progetto di sviluppo o, più concretamente, di sopravvivenza: non è un aspetto secondario, perché queste società hanno contratti con 4mila Comuni e danno lavoro a migliaia di persone.

Trasformare la riforma della riscossione in un'eterna incompiuta, infine, non trasmette certo un'idea di certezza ai cittadini; quando poi si scrive in una manovra (per la precisione al comma 688 dell'ultima legge di stabilità) che le cartelle spedite fino al 2011 ma non ancora riscosse potranno essere abbandonate automaticamente, senza particolari controlli, quando non superano i 300 euro, il messaggio che le vie di fuga dai pagamenti siano sempre aperte diventa chiaro. E in un Paese che riesce a superare il 20% di evasione anche nelle tasse sul mattone, come ha spiegato pochi giorni fa lo stesso ministero dell'Economia, non c'è bisogno di messaggi di questo tipo.

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