I derivati, come opzioni, swap, etc., non sono dei prodotti diabolici, ma utili strumenti con cui le imprese si coprono da alcuni rischi e riducono il costo del proprio finanziamento. Lo stesso fanno gli Stati sovrani, soprattutto quelli che, come il nostro, devono gestire duemila miliardi di debito in condizioni molto difficili. È quindi normale che il Tesoro italiano faccia uso di derivati nella gestione del nostro debito pubblico.
È anche normale – anzi in questo periodo probabile – che questa gestione evidenzi delle perdite contabili. Il rischio maggiore per il Tesoro è un'impennata dei tassi di interesse, come abbiamo visto nel 2011. Per coprirsi da questo rischio è giusto che il Tesoro entri in contratti derivati che producono dei guadagni quando i tassi di interesse salgono in cambio di perdite quando i tassi di interesse scendono. Per l'Italia guadagnare quando i tassi salgono è più importante che perdere la stessa cifra quando i tassi di interesse scendono, perché nel primo caso evitiamo una pericolosa spirale che porta all'insolvenza. Siccome recentemente i tassi sono scesi, non deve sorprendere che l'Italia abbia accumulato delle perdite contabili in questi derivati. Quello che sorprende, invece, è la reticenza del Tesoro (che la nota pubblicata ieri dal Mef non dirada) nello spiegare ai cittadini l'origine dei 36.9 miliardi di euro di perdite contabili in derivati fin qui accumulati. Veramente il Tesoro ritiene gli italiani così stupidi da non capire le ragioni addotte qui sopra?
Di fronte alle richieste di trasparenza nei contratti, la dottoressa Maria Cannata, responsabile della gestione del nostro debito pubblico, si è difesa dicendo che l'unico paese a fornire questi dati è la Danimarca. Questo certo non giustifica la reticenza del Tesoro italiano. Cannata non ha specificato quanti paesi, oltre alla Danimarca, fanno uso di derivati cosiddetti “over-the-counter”, ovvero derivati non trattati in Borsa e quindi per loro natura molti opachi nelle condizioni e nel prezzo. E non si capisce perché l'Italia non debba seguire l'esempio della Danimarca. Non c'é solo l'aspetto politico, ma anche quello economico. La mancanza di trasparenza crea incertezza sull'entità reale delle nostre perdite, incertezza che può alimentare speculazione al ribasso.
A preoccupare non è solo la quello che il Tesoro non dice, ma soprattutto quel poco che dice. Nella sua relazione alla Commissione della Camera, la dottoressa Cannata fornisce delle risposte così poco credibili da mettere in dubbio la qualità della squadra che gestisce queste operazioni al Tesoro. Per esempio, Cannata afferma che il Tesoro ha difficoltà a fare il mark-to-market dei derivati in portafoglio a causa del fatto che il database a disposizione del Tesoro contiene «ben poche informazioni, praticamente il nozionale iniziale, le scadenze e poco altro». Se questo è vero, come possono aver fatto la valutazione della convenienza dei contratti quando li hanno stipulati? E come hanno potuto monitorare tali rischi fino ad oggi?
È anche preoccupante che la Cannata abbia ammesso che il Tesoro ha venduto swaption, ovvero delle opzioni di entrare in uno swap. Mentre l'acquisto di swaption può essere una forma di assicurazione contro il rischio, una vendita è un'assunzione di rischio. Perché il Tesoro si è impegnato in queste operazioni? Viene il sospetto che lo abbia fatto per contabilizzare il premio ricevuto come un ricavo, e quindi ridurre artificialmente il nostro deficit.
Ma il passaggio più preoccupante è quello in cui Cannata dice che non c'è bisogno di prezzare i derivati detenuti dal Tesoro ai valori di mercato perché le perdite evidenziate dal cosiddetto mark-to-market sono puramente contabili e saranno riassorbite quando le condizioni di mercato, oggi straordinarie, si saranno normalizzate. Queste affermazioni sono preoccupanti per due motivi.
Da un lato ci danno l'immagine di una gestione del debito non indirizzata alla prudenza. Una gestione prudenziale non cerca di prevedere i tassi futuri sulla base di una limitata esperienza storica, come sembra fare Cannata. Tanto più che i tassi bassi possono durare per vent'anni, come ci insegna il Giappone.
Dall'altro, l'affermazione sembra ignorare l'esistenza di clausole che danno alle controparti l'opzione di incassare anticipatamente il valore del derivato, come nel caso di Morgan Stanley nel Settembre del 2011. Queste opzioni trasformano immediatamente una perdita contabile in un esborso di cassa (nel caso di Morgan Stanley , 2.5 miliardi).
Cannata ci riferisce che solo 13 contratti danno alla controparte l'opzione di risoluzione anticipata, ma non rivela quanti diano questa opzione in caso di abbassamento del rating dell'Italia (come fu il caso per Morgan Stanley). Questa clausola è particolarmente pericolosa per l'Italia. Non solo trasformerebbe subito i 36.9 miliardi di perdite contabili in esborsi di cassa, ma lo farebbe nel momento più delicato, ovvero nel momento in cui il debito italiano si vede declassato a junk. Invece di ridurre il rischio, questo uso dei derivati rischia di aumentarlo.
I derivati sono strumenti utili, ma anche pericolosi, specialmente quando le controparti del Tesoro sono per loro natura molto più sofisticate. Invece che ridurre il rischio, possono aumentarlo. Con l'uso dei derivati il Tesoro sta veramente riducendo il rischio dei contribuenti italiani o sta solo arricchendo le banche d'investimento, tanto generose nell'assumere ex funzionari del Tesoro? Il Ministero deve un chiarimento a tutti i contribuenti italiani.
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