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Investimenti non bolle per l'Europa più flessibile

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le vie della crescita

Investimenti non bolle per l'Europa più flessibile

Se il calo dei tassi di interesse e la liquidità (grande e in aumento) dell'Eurozona non si trasmetteranno all'economia reale, la crescita ne beneficerà poco mentre potrebbe gonfiarsi qualche bolla finanziaria. Non bastano infatti a tranquillizzare i sintomi di ripresa europea con schiarite anche per l'Italia. Ci vogliono politiche economiche forti per superare una crisi che ha portato la disoccupazione europea a 24 milioni e quella italiana a 3,3 milioni.

Il nostro Paese ha vissuto la più grave crisi del Dopoguerra, dopo che per almeno 15 anni la sua crescita è stata in media più bassa di quella dei Paesi dell'Eurozona. Per ritornare a crescere bene nella Ue e in Italia ci vogliono da un lato maggiori flessibilità (subito) e dall'altro convergenze strutturali (durevoli) tra Paesi unitamente ad investimenti (infrastrutturali e industriali) i cui effetti sono di medio-lungo termine. Nella Ue e in Italia ci sono questi orientamenti che sono però deboli per tempi o per quantità o per qualità.
Le flessibilità europee. Pochi giorni fa la Commissione Europea ha espresso i giudizi sull'economia degli Stati membri con anticipo rispetto al passato della procedura del “semestre europeo”. È un bene per tenere la rotta delle riforme richieste che adesso sono un po' facilitate anche da una interpretazione più flessibile, come deciso dalla Commissione il 18 gennaio, del Patto di stabilità e di crescita.
Questo non è burocratese perché chiunque abbia delle responsabilità economico-istituzionali deve sapersi muovere nelle complesse procedure europee piuttosto che tentare azzardi alla greca. Nell'uso, anche nel loro interesse, delle regole europee i tedeschi e i francesi (ma anche gli spagnoli, per rimanere ai gradi Paesi Ue) sono maestri.
L'Italia ha avuto fasi alterne nel cui ambito la presente appare buona anche se nella Commissione non abbiamo un dicastero di rilievo. Pier Carlo Padoan, con la sua competente pacatezza forte di decenni al Fmi e all'Ocse, è un ministro dell'Economia di spicco tra quelli della Ue.

L'audace spinta politica del presidente Renzi, che pure molto ci serve nella Ue, non andrebbe a risultato dentro l'Ecofin e l'Eurogruppo se non ci fosse il supporto del ministro Padoan.
Così il binomio Renzi-Padoan ha dato un po' di spinta all'economia portando nel 2014 il deficit sul Pil al 3% e varando una legge di stabilità 2015 che rende meno penalizzanti il percorso di aggiustamento del saldo strutturale e quello di riduzione del debito. Il tutto senza scontrarsi (inutilmente) con la Commissione europea che lascia perciò l'Italia nella categoria 5 (su 6 categorie di Paesi di cui la 1 è la migliore) caratterizzata da squilibri eccessivi ma senza il rischio di essere assoggettata alla procedura di infrazione delle regole di bilancio.
In questa zona rischio entra invece la Francia con un netto peggioramento su cui la Commissione ritornerà nei prossimi mesi per valutare se vada avviata una procedura di infrazione. La Commissione non fa sconti neppure alla Germania che peggiora passando dalla categoria 2 alla 3 con un giudizio pesantuccio. Si afferma infatti che Berlino deve spingere gli investimenti pubblici e privati che sono scarsi rispetto ai surplus commerciali con effetti negativi sia interni che per l'Eurozona.
Le riforme in Italia. La valutazione della Commissione sull'Italia non è però una promozione. Infatti si rileva che il nostro Paese ha due squilibri macroeconomici eccessivi: quello del debito pubblico e quello di una bassa crescita con caratteristiche strutturali dovute a inadeguata produttività e competitività. Dietro questi squilibri ci sono molte e note cause che richiedono riforme strutturali.

Nelle previsioni di inizio febbraio della Commissione si prefigurano però un 2015 e un 2016 decenti per l'Italia. Una crescita rispettiva del Pil dello 0,6% e dell'1,3% con una moderata ripresa dei consumi e degli investimenti che dovrebbero migliorare più significativamente nel 2016 specie se i bassi tassi di interesse si concretizzeranno anche nel credito. Le esportazioni svolgeranno un ruolo cruciale per un più favorevole cambio euro-dollaro. Anche l'analisi di febbraio della congiuntura fatta da Confindustria segna un netto miglioramento nel clima economico. Rimane il problema della disoccupazione malgrado i dati mostriano un certo aumento degli occupati.
Ci vuole però consapevolezza che la crisi non si supera in pochi anni ed è anche per questo che tutte le forze responsabili (politiche, produttive, sociali) dovrebbero impegnarsi sul programma di riforme strutturali che la Commissione europea ci chiede da tanto tempo. Per questo suggeriamo alle forze responsabili di esaminare bene l'elaborato del ministero dell'Economia “Bilancio 2015: i documenti per l'opinione della Commissione Europea”.In particolare i tre documenti che riguardano rispettivamente: i fattori che influenzano il recente andamento del debito in Italia, le riforme strutturali in Italia dal settembre 2014, le implicazioni macroeconomiche per l'Italia per conformarsi alla norma sul debito. È anche su questa base che la Commissione europea ci ha dato un giudizio da semaforo giallo mentre la Francia ha preso il rosso. Ed è in base al progresso o meno delle riforme in corso (lavoro, pubblica amministrazione, giustizia civile, autorità anti-corruzione, deregulation del credito, sistema fiscale, sistema d'istruzione) che il semaforo potrebbe diventare verde o rosso. Per questo in Italia bisogna tenere la rotta sulle richieste di riforma della Commissione europea.

Gli investimenti europei. Nel contempo l'Italia deve pressare politicamente di continuo la Ue e la Uem perché varino una regola aurea sugli investimenti e accelerino il (debole) piano Juncker per gli investimenti che potrebbero beneficiare anche delle politiche espansive della Bce. Da questa combinazione possono nascere nuovi potenti strumenti (come quelli della Bei, gli eurobond e i projectbond) per potenziare le infrastrutture e l'industria in Europa.

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