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L'azionista (vero) di cui Telecom ha bisogno

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il mercato

L'azionista (vero) di cui Telecom ha bisogno

Alla fine torna sempre al pettine lo stesso nodo, che è quello dell'assetto azionario di Telecom Italia, che non trova pace dai tempi della privatizzazione.
«Telecom è stata privatizzata venti anni fa, si può discutere se bene o male, secondo me male: è stata fatta un'operazione sbagliata, è aumentato il debito», ha osservato recentemente il premier Matteo Renzi. Privatizzata radicalmente, a differenza di Eni o Enel, quando l'Italia aveva bisogno di accreditarsi per l'ingresso nell'euro.

Poi si era cercato di rimediare con la scalata dei “capitani coraggiosi”, con il passaggio del testimone al duo Pirelli-Benetton e infine con la creme dell'establishment finanziario tricolore - Generali, Mediobanca e Intesa-SanPaolo - a far da contrappeso al socio industriale, Telefonica, che però era concorrente in Sud-America. Nessun tentativo di tenere in mani italiane il controllo dell'incumbent telefonico ha avuto successo, e le interferenze politiche non hanno aiutato. Nessuna formula è riuscita a far tornare il gruppo agli splendori dell'era pubblica, quando Telecom non aveva debito, era una multinazionale presente in moltissimi Paesi e aveva una supremazia tecnologica riconosciuta a livello mondiale.
Il risultato oggi è un gruppo gravato da 40 miliardi di debito (poco meno di 27 miliardi l'indebitamento netto), che ne limita la flessibilità finanziaria, e arroccato su due mercati core, il domestico e il Brasile. Per gli operatori finanziari, senza mezzi termini, «una preda», protetta paradossalmente dall'entità del suo debito. Tant'è che anche i fondi di private equity ci hanno fatto un pensierino, ma finora non si sono mossi concretamente. L'unico modo per guadagnarci sarebbe infatti quello di fare a pezzi il gruppo: il Brasile da una parte, la rete dall'altra, Tim Italia ancora da un'altra. Ma per questo, nonostante lo Stato non abbia conservato nemmeno un'azione, ci vorrebbe comunque l'implicito assenso del Governo.

Ora, con l'azionariato in fuga - non solo i soci Telco, ma anche la Findim di Marco Fossati, che è già scesa dal 5% a meno del 2% - Telecom è avviata a diventare una public company, in teoria la formula ideale per una società privata che risponde solo al mercato per la sua capacità di creare valore. Peccato che la formula è vincente se una società ha capitalizzazione tale da non doversi preoccupare a ogni pie' sospinto di essere predata - e Telecom capitalizza meno di 20 miliardi, contro, per esempio, gli oltre 80 miliardi di Vodafone - e se può impostare una strategia di sviluppo che non sia condizionata dalle ristrettezze finanziarie.
In realtà, però, con le operazioni impostate dal suo azionista Telefonica, Telecom non diventerebbe comunque una vera public company perchè, autorità brasiliane permettendo, Vivendi dovrebbe ottenere dalla vendita di Gvt anche l'8,3% del capitale ordinario di Telecom che ne farebbe il primo azionista. Poco, ancora, per dettare la linea. Secondo il presidente della media company transalpina, Vincent Bolloré, che è anche il secondo azionista di Mediobanca, Vivendi sarà azionista di lungo periodo di Telecom. Secondo il suo direttore finanziario Hervè Philippe - che l'ha ribadito anche nell'ultima conference call di venerdì scorso - invece no: tutte le residue partecipazioni nelle tlc avrebbero valore “opportunistico”, utili per costruire accordi nel core business, ma nulla più. L'ipotesi Orange, con l'interesse dell'ex France Telecom uscito allo scoperto nel week-end, potrebbe avere due valenze: un compratore per la quota di Vivendi, oppure un partner per la stessa, a ricostituire una Telco-2 con Orange al posto di Telefonica. L'unica differenza sarebbe che almeno Orange non ha aree di attività in sovrapposizione, ma le sinergie, secondo gli analisti, sarebbero pressochè nulle. Per contro, considerato che l'azionista di riferimento della compagnia telefonica transalpina è lo Stato con una quota vicina al 27% e che non verrebbe diluito, ci sarebbe una chiara estensione del raggio di influenza della Francia.

Il Governo - proprio lo stesso Renzi a Davos - aveva provato a sondare l'interesse di un gigante delle tlc, come At&T, che però avrebbe raffreddato le aspettative perchè concentrato più a consolidarsi nelle Americhe che a espandersi in Europa. Nel corso delle trattative su Metroweb si era anche ipotizzato uno scambio azionario futuro tra la quota di Cdp in Metroweb e azioni Telecom Italia, ma Vodafone si sarebbe opposta e comunque per ora tutto è congelato.
Insomma, Telecom avrebbe bisogno di un azionista forte che accompagnasse lo sviluppo del gruppo senza perdere di vista l'interesse del Paese, ma finora dall'identikit non si è passati a individuare un candidato senza se e senza ma.

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