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All'Europa non serve l'egoismo degli Stati

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atene e l’unione

All'Europa non serve l'egoismo degli Stati

La tregua siglata due settimane fa fra il governo greco e l'Europa ha ritardato di quattro mesi le prossime scadenze dei pagamenti del debito greco, ma ha nervosamente accelerato un incredibile quanto inconcludente e drammatico disorientamento nell'ordine mondiale.

Il grande successo elettorale di Tsipras e l'entusiasmo che è riuscito a suscitare anche in altri Paesi europei ha avuto come collante la lotta contro le politiche di austerità, che definitivamente sembrano poter avere verifiche concrete con la presentazione del piano che il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis si appresta a proporre domani all'Eurogruppo nel tentativo di sbloccare 7 miliardi di euro di finanziamenti. Oltre che a generiche riforme di fisco e pubblica amministrazione, in Grecia sono già state presentate proposte di legge sull'immigrazione e per alleviare la povertà, con la distribuzione di buoni pasto, l'assistenza per gli alloggi, per l'energia e per i debiti dei cittadini nei confronti dello Stato.
Purtroppo, tutte queste misure sono frutto di un'impostazione decisamente sbagliata per la soluzione della grave crisi economica europea. L'errore grossolano di privilegiare interventi di tipo assistenzialistico anziché occuparsi della crescita, oltre che da altri era stato già con cura evidenziato nel saggio di qualche anno fa dallo stesso Varoufakis (Il Minotauro globale, Asterios, Trieste, 2012), il quale chiaramente individuava tutti gli interventi decisi o previsti come diretti a risolvere problemi relativi alla liquidità dei sistemi e non invece al vero male che li aveva colpiti, cioè l'insolvenza.
Finalmente ora è diventato incontestabile che la ricchezza economica degli ultimi anni s'è in gran parte basata sul debito invece che su un'economia di produzione, e che lo stato di insolvenza, più eufemisticamente denominato “default” quando si tratta di Stati, si è trovato in una dimensione globale, ma senza una globale disciplina.
Sicché, mentre ovunque lo stato di insolvenza nel settore privato cercava a livello nazionale soluzioni meno distruttive delle tradizionali individuate nelle leggi fallimentari, l'insolvenza pubblica si trovava priva di qualsivoglia regolamentazione e in preda perciò a ogni sorta di soluzione che puniva e che ha punito, come la Grecia più di ogni altro Paese europeo ha dimostrato, i cittadini più poveri e più colpiti dalle disuguaglianze.

È pur vero che alla base dell'austerity si ritrovano scadenti giustificazioni di carattere moralistico, dacché, come aveva sostenuto Friedrich Nietzsche, gli stessi concetti di morale, colpa e punizione, derivano dal privatistico concetto di debito. Tutto si basa sui rapporti creditore-debitore, la cui disciplina riesce comunque a trovare molto sovente ben strutturate scappatoie, come nella governance finanziaria, quando il “contratto” prende il posto della “legge”. Non diverse ambigue motivazioni tengono in piedi, anche nel sistema di regolamentazione globale privatistica chi, come le grandi istituzioni finanziarie, alimenta la ricchezza col debito e si sottrae all'adempimento dell'obbligo di restituzione, giustificato dall'essere sia “troppo grande per fallire” (too big to fail), sia “troppo grande per la galera” (“Too big to Jail – How Prosecutors compromise with Corporations”, dal titolo del prezioso libro di Brendon L. Garrett, Harvard University Press, 2014).
Se è vero che nella precedente globalizzazione economica medievale le regole furono dettate dalla cosiddetta lex mercatoria, cioè la legge dei mercanti, non dunque la legge dei sovrani, le regole dei mercati finanziari, con inquietante analogia, costituiscono il moderno diritto della globalizzazione, cioè questa novella lex mercatoria, che sta avendo il sopravvento sugli ordinamenti giuridici degli Stati nazione. Neppure è un caso che l'antica lex mercatoria, che ebbe come base gli Statuti delle città medievali europee, avesse come istituti fondamentali del proprio ordinamento lo stato di insolvenza e il fallimento. Pare ovvio che, proseguendo nell'analogia, lo stato di insolvenza e il fallimento, sia nel pubblico sia nel privato, debbano essere anche oggi assoggettati a risolutive riforme quale atto preliminare per la soluzione dell'attuale crisi.

Son proprio gli Stati nazione che hanno da decenni facilitato e a volte imposto le regole del “laissez faire”, istituto determinante della ideologia e della politica neoliberista di austerity imposta dall'Europa e dalla governance finanziaria globale. L'ordinamento europeo è infatti tuttora strutturato su un'unione monetaria e non fiscale-economica, né politica.
Ne deriva una conseguenza che rende l'attuale momento storico particolarmente difficile per tutti gli Stati fortemente indebitati e in modo particolare per la Grecia che, con le proposte del governo Tsipras, con qualche eccessiva forzatura, sta cercando di colpire e trasformare nel metodo la base fondamentale della politica economica europea. Questa tuttavia purtroppo è ancora costretta a lavorare con gli strumenti limitati della governance finanziaria e pertanto con scarsa possibilità di successo. Il cambiamento del nome della troika in “istituzioni” non modifica certo la loro politica, né i loro poteri, anche se la Banca centrale europea si è mostrata molto più sensibile alle riforme economiche e al rispetto dei diritti sociali dei cittadini europei di quanto non l'abbiano fatto altre banche centrali dotate di ben diversi e più penetranti poteri.

È questa un'irripetibile occasione storica per l'Unione europea, non solo per completare il disegno dei padri fondatori, altresì per tornare ad assumere il ruolo politico che è andata via via perdendo, soprattutto di fronte all'attuale complessa situazione di guerre che si svolgono ai suoi confini e di squilibrio per la creazione di nuove alleanze economiche e politiche, e divenire in tal modo un modello per aprire su scala globale un'autentica esperienza sovranazionale di pace e di benessere.
È tempo allora che gli Stati membri incomincino a pensare alla soluzione dei loro problemi attraverso l'Europa. La polarizzazione fra le contrapposte politiche di crescita, richieste dalla Grecia, e quelle essenziali finora imposte in definitiva dalla Germania, potranno trovare una soluzione e un compromesso soltanto di fronte a un'Europa politicamente unita e democraticamente legittimata.

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