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Borse, il rialzo europeo non è ancora una bolla

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liquidità e fiducia

Borse, il rialzo europeo non è ancora una bolla

Qualcuno lo chiama «Qe fantasy world»: mondo fantastico del quantitative easing. Qualcuno sogna il «Qe infinity»: abbondanza di liquidità all'infinito. Sta di fatto che il «bazooka» di Mario Draghi ha creato l'humus perfetto per far crescere Piazza Affari e i listini europei.

La Bce stampa moneta, il mini-euro incrementa gli utili delle aziende esportatrici, il petrolio ai minimi taglia la bolletta energetica, i rendimenti a zero dei titoli di Stato inducono gli investitori a comprare azioni, l'economia si riprende, le azioni europee sono sottovalutate rispetto a quelle americane. Le condizioni ci sono tutte: sembra quasi che nulla possa guastare la festa delle Borse europee.
Eppure proprio gli stessi motivi che ispirano fiducia non possono non preoccupare guardando al lungo termine: questa grande euforia finanziaria rischia infatti di esasperare le bolle già gonfie dopo anni di «quantitative easing» americano. Molti ritengono che sulle Borse europee oggi non ci sia una bolla speculativa, e forse hanno ragione. Il punto è capire se qualche bolla non si nasconda altrove: per esempio sul mercato obbligazionario, sui bond aziendali a bassa affidabilità, su alcuni mercati immobiliari nordici. O negli Usa. Dopo anni di doping monetario, ormai il mondo finanziario è così assurdo che è difficile capire cosa sia normale e cosa no.

Qe fantasy world
Basti pensare che il rally delle Borse europee è in parte figlio proprio della maggiore assurdità prodotta dal «quantitative easing» della Bce: i rendimenti negativi. In Europa, calcola JP Morgan, 1.800 miliardi di euro di titoli di Stato offrono (si fa per dire) tassi d'interesse negativi a chi li compra. E ulteriori 2.200 miliardi di euro pagano meno dello 0,5%. Questo mondo capovolto dei tassi ha l'ovvio effetto di spostare molti investitori europei su qualcosa di più redditizio: per esempio la Borsa. Anche perché le azioni offrono oggi dividendi molto più appetibili dei tassi d'interesse pagati dalle stesse aziende quando emettono obbligazioni: si pensi che il dividend-yield delle 70 maggiori società di Piazza Affari è mediamente pari al 2,9% (nel 2014) e al 3% (nel 2015), mentre sul mondo obbligazionario per trovare rendimenti paragonabili bisogna comprare obbligazioni ad alto rischio (junk bond). Morale: l'effetto sui tassi del «bazooka» di Draghi rende le azioni europee appetibili. Così tutti le comprano.
Il «Quantitative easing» aiuta la Borsa anche attraverso un altro canale: indebolendo l'euro. Calcola infatti Goldman Sachs che questo sosterrà non poco gli utili delle aziende quotate in Borsa: escludendo le imprese energetiche (i cui profitti sono penalizzati dal calo del petrolio), gli utili per azione in Europa cresceranno - secondo le stime della banca Usa - del 13%. Stima inoltre JP Morgan che i profitti delle aziende europee supereranno quelli delle imprese Usa per la prima volta dal 2011. Questo spinge ulteriormente gli investitori sulle Borse del Vecchio continente, a scapito di quelle americane.

Anche perché in Europa il rapporto tra prezzo delle azioni e utili aziendali aggiustato per il ciclo economico (secondo l'indice Shiller p/e) è quasi la metà che negli Usa (dove sta a 28). Questo significa che le azioni americane sono ben più care di quelle europee. Se a questo si aggiunge che l'economia nel Vecchio continente migliora, che il credito bancario sembra riprendersi e che la fiducia sembra tornare, l'euforia in Borsa diventa ovvia.

Bolle o «nuova normalità»?
Per questo praticamente tutti gli investitori, economisti e analisti ritengono che il rally del mercato azionario europeo sia destinato a continuare. E ritengono che in Borsa non ci sia una bolla speculativa: del resto i listini europei non stanno facendo altro che anticipare l'auspicata ripresa economica del Vecchio continente. Il rischio è però che questa sbornia di liquidità faccia perdere il senso della realtà agli investitori: se in Borsa ancora non si vedono veri eccessi, altrove se ne vedono eccome.
È il caso probabilmente delle obbligazioni emesse da aziende poco affidabili (i cosiddetti «junk bond»): la domanda per questi titoli è così forte che i rendimenti continuano a scendere (ormai quelle con rating «BB» rendono meno del 3%) e le emissioni ad aumentare. In Europa, calcola Fitch, le emissioni nel 2014 hanno superato il record per il quinto anno di fila. Tanti economisti sentono odore di bolla anche in alcuni mercati immobiliari, per esempio nei Paesi nordici. E gli eccessi stanno tornando nella finanza strutturata americana. Ma nel mondo fantastico del «quantitative easing» è difficile capire se si tratti di vere bolle o di «nuova normalità». Fin che qualche banca centrale stampa denaro, del resto, la realtà resterà distorta. La vera domanda è: poi cosa accadrà?

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