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Parigi, svolta anticorruzione

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Lotta all’illegalità

Parigi, svolta anticorruzione

Nell'ultima classifica di Transparency International sulla “percezione della corruzione”, presentata all'inizio di dicembre, la Francia si colloca al 26° posto, alla pari con Estonia e Qatar, perdendo quattro posizioni rispetto al 2013 e otto rispetto al piazzamento migliore mai ottenuto: il 18°, nel 2006. Secondo l'ultimo sondaggio Sofres, il 73% dei francesi ritiene che i politici siano “piuttosto corrotti”, un livello mai raggiunto da quando, nel 1977, è iniziata questa rilevazione.

Le cose non vanno molto meglio con i dati dell'Eurobarometro: il 68% dei francesi ritiene che la corruzione sia un fenomeno molto diffuso (e il 56% che sia aumentato negli ultimi anni).
La situazione è davvero peggiorata? La Francia è diventata un Paese con un tasso di corruzione che ha superato la soglia di guardia, quella che potremmo definire fisiologica? Questi giudizi segnalano una realtà di corruzione diffusa, sempre più diffusa? Probabilmente no. Sulla “percezione” pesano alcune recenti vicende che certo hanno scioccato l'opinione pubblica ma che spesso non sono neppure riconducibili a fenomeni di vera e propria corruzione.
Per esempio quella che all'inizio dell'anno scorso ha coinvolto l'ex ministro del Bilancio Jérome Cahuzac, il quale ha mentito al Parlamento sui conti segreti che aveva in Svizzera, a Singapore, all'Isola di Man. O quella, in estate, dell'ex sottosegretario Thomas Thévenoud, che si è “dimenticato” di pagare le tasse e di dichiarare alcune piccole attività imprenditoriali. In questi casi, più che di corruzione, si tratta di episodi rivelatori di una classe dirigente, di un'élite, che si sente onnipotente e invulnerabile, al di sopra (o al di sotto) delle regole. Com'è successo con l'ex presidente Jacques Chirac, che da sindaco di Parigi faceva retribuire dal Comune sette funzionari del partito (e che per questo è stato condannato a due anni).

È giusto inoltre sottolineare che molti processi per corruzione finiscono in una bolla di sapone, anche se la gente ha ormai memorizzato la presunta colpevolezza dell'accusato. Com'è successo all'ex ministro del Bilancio e del Lavoro Eric Woerth, sospettato di aver autorizzato la vendita di un ippodromo pubblico sottostimandone il valore. L'impressione è insomma che si sia voltata la pagina dei grandi scandali tipo Crédit Lyonnais, che peraltro continua a occupare le pagine dei giornali: la Corte d'appello di Parigi ha appena annullato l'arbitrato del 2008 in base al quale lo Stato aveva versato al finanziere Bernard Tapie oltre 400 milioni di risarcimento (e per cui sono stati indagati tra gli altri l'ex ministro dell'Economia Christine Lagarde, oggi alla guida del Fondo monetario, e il suo capo di gabinetto Stéphane Richard, oggi presidente di Orange).
Il fatto che la Francia sia un Paese dove il “pubblico” è ancora un valore, dove l'amministrazione (e la gestione) pubblica è ancora largamente apprezzata per la sua efficienza e la sua onestà, non deve nel contempo essere utilizzato per nascondere, o mascherare, situazioni inquietanti. Come quella di Marsiglia, dove il presidente della Provincia è sotto processo per aver favorito negli appalti l'azienda del fratello. O le diverse inchieste che coinvolgono Nicolas Sarkozy e gettano più di un'ombra sull'ex presidente e sui finanziamenti poco trasparenti delle sue campagne elettorali: provenienti dalla Libia di Gheddafi, dai conti esteri della signora Liliane Bettencourt o dalle false fatture della società di eventi Bygmalion.

E neppure la corruzione spicciola, spesso legata agli appalti degli enti locali: sui 258 casi di corruzione recensiti sempre da Transparency negli ultimi 15 anni, ben 180 riguardano sindaci o assessori, con una forte concentrazione nell'area di Parigi e nel Sud, tra Marsiglia e Nizza.
Una situazione che ha spinto il Governo di François Hollande a varare, a fine 2013, una serie di norme – da tempo sollecitate dall'Ocse e dalla Commissione europea – che riguardano la prevenzione dei conflitti d'interesse, l'inasprimento delle pene, un maggiore controllo sui patrimoni degli eletti e dei loro collaboratori, la creazione di un'Alta autorità per la trasparenza e di una Procura nazionale ad hoc per i reati finanziari, una protezione accresciuta di chi all'interno delle azienda e dell'amministrazione segnala episodi di corruzione. Mentre non sono ancora operative le disposizioni che dovrebbero mettere fine al cumulo dei mandati, una tradizione francese ad alto rischio.
Così come la Francia è in ritardo nell'applicazione rigorosa del protocollo Ocse sulla lotta alla corruzione internazionale, di funzionari esteri per ottenere commesse: dalla firma della convenzione, nel 2000, sono state avviate in Francia solo 33 procedure (rispetto alle 176 della Germania) con quattro condanne (oltre 70 in Germania). Un atteggiamento che rivela una certa inerzia a difesa dei suoi grandi gruppi esportatori, quelli di armamenti in primis. Nonostante il lungo elenco di presunte mazzette (i processi sono ancora in corso) distribuite a destra e manca, per vendere navi e sottomarini. Magari con qualche ritorno in patria per finanziare campagne elettorali.

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