Forse niente come la nuova torre di vetro della Bce che si innalza compiaciuta per 185 metri nel cielo di Francoforte (mentre a terra la sua inaugurazione raccoglie sulle rive del Meno migliaia di manifestanti al grido di “Basta diktat”, “Il capitalismo uccide”, “In Europa ci vuole più Atene e meno Berlino, i problemi non si risolvono con l'austerità”) illustra l'abisso che 7 anni di crisi dell'euro hanno scavato tra istituzioni e popoli europei, tra governi e cittadini comuni.
Vandalismi, violenza urbana, scontri con la polizia, feriti, arresti a centinaia potrebbero apparire immagini improbabili, “clic” fuori contesto nella prospera Germania e, ancora di più, nella sua città che ospita l'istituzione europea più prestigiosa, la Banca centrale che governa l'euro.
Invece no. La fotografia di Francoforte messa a ferro e a fuoco da giovani tedeschi, greci, spagnoli uniti da malessere e frustrazioni maturati nei ghetti della disoccupazione, del disagio sociale e del bisogno dice che, se la frustrazione è arrivata fin qui per esprimersi, significa che la misura è davvero colma. Che il campanello di allarme non va più ignorato.
L'ha capito subito ieri Mario Draghi che non a caso ha invitato l'Europa ad ascoltare di più la voce dei suoi cittadini, a ritrovare la solidarietà senza cedere ai nazionalismi, senza smarrire la strada dell'integrazione e delle riforme perché sono l'unico modo per vincere davvero la crisi e procurarsi un futuro solido e all'altezza delle sfide del mondo globale.
Il presidente della Bce ha indicato la via della rappacificazione democratica e intra-europea proprio alla vigilia del difficile vertice europeo che si svolgerà oggi e domani a Bruxelles.
Dovrebbe concentrarsi su unione energetica, crisi ucraina e Libia. Invece i capi di governo Ue finiranno per parlare soprattutto di Grecia.
Ed è anche per questo che le parole di ieri di Draghi colgono nel segno: Grexit serpeggia di nuovo nei sussurri di palazzo, tra un'insofferenza crescente e la voglia di liberazione da un problema ritenuto insolubile. Alexis Tsipras coglie perfettamente l'ostilità stizzita che circonda lui e il suo Paese: per questo prova a superare i canali del dialogo tecnocratico per portare il suo problema al massimo livello di dibattito politico. Anche se non è affatto detto che interlocutori come Angela Merkel, François Hollande, Jean-Claude Juncker e Draghi si dimostrino più aperti e disponibili.
Senza nuovi e tempestivi aiuti europei, la Grecia scivola inesorabilmente verso il default e la rottura con i partner. Non aiuta la sensibilità diplomatica di Jeroen Dijsselbloem , il presidente dell'Eurogruppo che già evoca per Atene il devastante scenario di Cipro con relativa imposizione dei controlli sui movimenti dei capitali.
Né aiuta il veto della troika alle misure umanitarie promosse dal governo, buoni-pasto e luce gratuita per le fasce più povere, perché ”unilaterali”, presentate senza consultare i tecnici. E nemmeno il giudizio durissimo dell'Fmi: la Grecia è il Paese meno collaborativo della storia del Fondo.
Tutti accusano Atene di non rispettare gli impegni assunti il 20 febbraio con i creditori. Il premier Tsipras replica che ha l'acqua alla gola: finanziariamente, socialmente e politicamente. Sa di essere nell'angolo in Europa. Come sa che conta poco nel negoziato avere il sostegno dell'80% dei greci nella battaglia contro l'austerità o l'approvazione a maggioranza schiacciante del parlamento agli aiuti umanitari.
«Spetta alla Grecia decidere se vuole stare o no nell'euro» ripete il tedesco Wolfgang Schäuble. E persino il francese Pierre Moscovici, il commissario Ue un tempo convinta colomba, rincara: «Non possiamo tenere dentro la Grecia ad ogni costo». Insoddisfatto dei progressi fatti fin qui, Juncker invece invita «gli uni e gli altri a intendersi».
I margini di Tsipras sono ridottissimi. Quando governava il suo predecessore Antonis Samaras, i partner e la troika sapevano benissimo che il 60% degli impegni che aveva preso restavano inattuati ma facevano finta di niente e alla fine erogavano gli aiuti. «Però Samaras diceva sempre di aver intenzione di rispettare gli impegni, Tsipras no», ricorda un consumato negoziatore.
Come sempre tutti hanno una parte di ragione. La questione è un'altra, drammatica: di questo passo, se l'Europa non farà un gesto costruttivo e lungimirante, con le sue sole forze la Grecia non riuscirà a restare nell'euro. C'è che si ostina a illudersi di essere comunque immune al disastro. Le immagini di ieri a Francoforte raccontano tutt'altra storia: la Grecia è un problema tutto europeo come le sue richieste di un rigore più temperato e ragionevole ormai sono europee. Condannarla all'uscita provocherebbe all'euro danni oggi incalcolabili. E non è consigliabile esplorarli proprio ora che la ripresa economica sembra riaffacciarsi in Europa.
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