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Euro, la caduta finirà presto

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l’europa e la crescita

Euro, la caduta finirà presto

  • –di Anatole Kaletsky

Quasi ogni giorno il dollaro statunitense tocca nuovi massimi da 12 anni, mentre l'euro pare andare sotto la soglia di parità. I movimenti valutari sono spesso descritti come la più imprevedibile delle variabili, ma alcuni eventi sui mercati del cambio sembrano avere, per una volta, una spiegazione ovvia, accettata, dalla maggioranza degli economisti e dei policy maker.

Il presidente francese François Hollande ha salutato con gioia la discesa dell'euro «perché rende tutto più chiaro e preciso: un euro equivale a un dollaro». Ma è proprio quando le cose appaiono chiare e precise che gli investitori dovrebbero mettere in dubbio il pensiero tradizionale. Il binomio dollaro forte-euro debole è la scommessa del 2015 che va per la maggiore. C'è il rischio che il tasso di cambio stia già superando il valore di lungo periodo?
In un certo senso, la spiegazione tradizionale del movimento del cambio euro/dollaro è corretta. Il principale motore è stato la divergenza monetaria, con la politica rigorista della Fed da un lato, e i tassi di interesse ai minimi storici e il Qe della Bce dall'altro.
L'anno scorso, molti investitori hanno messo in discussione la capacità della Bce di lanciare un programma di acquisto di titoli di Stato nonostante l'opposizione tedesca, mentre altri hanno dubitato della volontà della Fed di attuare una politica monetaria più restrittiva, in quanto ciò rischiava di bloccare la ripresa degli Usa. Questo è il motivo per cui, un anno fa, un euro valeva ancora quasi 1,40 dollari – e per cui io e altri pensavamo che avrebbe perso molto terreno rispetto al dollaro.

Oggi il margine per sorprese al rialzo o al ribasso di dollaro ed euro è più limitato. Qualcuno crede ancora che l'economia Usa sia sull'orlo della recessione? O che la Bundesbank abbia il potere di aggirare le decisioni del presidente della Bce? Con la divergenza monetaria ora molto ridotta, forse dovremmo concentrarci sugli altri fattori che potrebbero influenzare il futuro.
Lo scenario di un dollaro più forte e un euro più debole presenta tre possibili sviluppi. Il primo è che la Fed aumenti i tassi di interesse in modo sostanziale prima del previsto. Il secondo è che gli investitori e le tesorerie aziendali, ritrovata la sicurezza, optino per massicci prestiti in euro da convertire in dollari, approfittando dei tassi americani più elevati. Il terzo è che le banche centrali e i fondi sovrani mediorientali e asiatici si avvantaggino del programma di acquisto di titoli della Bce per vendere quote di debito tedesco, francese o italiano e reinvestire i proventi in titoli del Tesoro americano ad alto rendimento. Quelli descritti sono scenari plausibili, ma ci sono quattro fattori in grado di spingere il cambio dollaro/euro nella direzione opposta.

C'è l'effetto del dollaro forte sull'economia Usa e sulla sua politica monetaria. Se il dollaro continua a salire, attività economica e inflazione americana tenderanno a indebolirsi. Così, la Fed, anziché rialzare i tassi di interesse prima del previsto, potrebbe optare per una linea meno aggressiva.
In secondo luogo, sussistono forti dubbi sul fatto che i governi asiatici e mediorientali vogliano convertire altre riserve in dollari, soprattutto se ciò significa scambiare gli euro acquistati sin dal 2003 a un tasso molto sfavorevole e di gran lunga inferiore alla loro parità di potere d'acquisto. Molti Paesi hanno impiegato decenni a diversificare la propria ricchezza per svincolarla dal dollaro, spinti da ragioni finanziarie e geopolitiche. Dato che gli Usa sono sempre più inclini a utilizzare la propria moneta come strumento di diplomazia, o anche di guerra – operazione nota a Washington come “weaponizing the dollar”, trasformare il dollaro in un'arma – Cina, Russia e Arabia Saudita potrebbero essere riluttanti a spostare altra ricchezza verso i titoli del Tesoro Usa.

Un terzo fattore che suggerisce che il trend al ribasso dell'euro contro il dollaro potrebbe non durare ancora a lungo è lo squilibrio commerciale tra gli Usa ed Europa. Il divario è già ampio ed è destinato ad allargarsi, per un deprezzamento dell'euro del 20% da quando, in autunno, l'Fmi ha reso note le proprie stime.
Con ciò si sottintende che, ogni anno, capitali per centinaia di miliardi di dollari dovranno spostarsi dall'Europa verso gli Usa solo per mantenere l'attuale tasso di cambio. E man mano che il divario commerciale si allargherà, serviranno flussi di capitale sempre maggiori per continuare a spingere l'euro al ribasso. Questi enormi flussi di capitale sono possibili, ma cosa li guiderà?

Tale domanda conduce al motivo più importante per cui il declino dell'euro registrerà un'inversione di rotta o si stabilizzerà. Mentre gli elevati tassi di interesse statunitensi potranno attrarre alcuni investitori, altri abbandoneranno il dollaro se la combinazione tra un euro più competitivo, l'ingente stimolo della Bce e un allentamento della pressione fiscale in Francia, Italia e Spagna produrrà una reale ripresa economica in Europa. I conseguenti flussi di capitale globale verso azioni, beni immobili e investimenti diretti europei – ora più accessibili degli equivalenti americani – potrebbero superare gli investimenti in contanti e titoli attratti dall'aumento dei tassi di interesse statunitensi.
Cos'è che può riequilibrare le forze opposte che governano il tasso di cambio? Nessuno può dirlo, ma una cosa è certa: mentre i profitti derivanti dalla speculazione sui differenziali del tasso di interesse tra le due sponde dell'oceano possono arrivare all'1-2% annuo, gli investitori rischiano di perdere lo stesso importo in un solo giorno, o persino in un'ora, acquistando la valuta sbagliata quando il trend cambia. Come l'esperienza del Giappone e della Svizzera ha insegnato per alcuni decenni, vendere una valuta a un basso tasso di interesse solo per ottenere rendimenti americani più elevati spesso si rivela un errore molto costoso.
(Traduzione di Federica Frasca)

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