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Il peccato di continuità

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L’ANALISI

Il peccato di continuità

Se confrontato ai suoi predecessori, Maurizio Lupi è stato un buon ministro delle Infrastrutture, ma ha scontato il grave limite di aver agito troppo in continuità con la gestione di un ministero che è un gigante malato e addormentato.

Una situazione che avrebbe richiesto atti di rottura e rifondazione molto più drastici. Al suo arco Lupi può mettere alcuni successi politici di tutto rispetto come la partita Alitalia-Etihad, il varo dell'Autorità di regolazione dei trasporti che giaceva in Parlamento da 15 anni, l'approvazione del fondamentale piano aeroporti chiuso nei cassetti ministeriali da 5 anni, lo sblocco delle manutenzioni Anas e Fs che erano state vergognosamente azzerate, un gruzzolo di risorse di tutto rispetto (ha parlato ieri di 14 miliardi) nei quasi due anni di ministero (prima con Letta, poi con Renzi). Nonostante questi risultati lusinghieri, il giudizio sul ministero Lupi resta quello di un'occasione mancata: oltre ogni valutazione giudiziaria ed etica, è stata proprio la conferma della centralità di Ercole Incalza a impedirgli un vero approccio riformatore. Ieri Lupi ha detto di aver avviato la riforma della legge obiettivo e del piano delle grandi opere che avrebbe trovato conferma nel prossimo Def Infrastrutture, ad aprile, ma Lupi ha già firmato due Def Infrastrutture (sempre elaborati con Incalza) senza dare il segno di un cambiamento di rotta. Anche visivamente, quei documenti sono quelli
del passato.

Bisognava agire molto più in fretta e non perdere altri due anni per riformare una legge che ha largamente fallito (solo l'8% delle opere completate). Il fallimento lo ha confermato in fondo lo stesso Lupi ieri in Parlamento: non senza retorica ha rivendicato a quella legge il merito della realizzazione dell'Alta velocità Torino-Napoli quando la dorsale Av non era nel piano della legge obiettivo e non ha goduto delle procedure straordinarie. Non ci sono altre grandi opere concluse con quella legge che i cittadini possono riconoscere per i benefici che ne ricevono. Se la difesa di Lupi per tenere la struttura di missione dentro il ministero delle Infrastrutture, evitando il trasloco a Palazzo Chigi, è questa, la partita è già persa.

Questo restare legati alle grandi opere ha continuato a distogliere attenzione da politiche infrastrutturali alternative (su cui è saltato Palazzo Chigi) e da riforme fondamentali che sono rimaste a dormire per mesi: il codice degli appalti e il recepimento delle direttive Ue, vero atto di discontinuità riformatrice per il settore, è rimasto a dormire sei mesi in Senato senza che Lupi muovesse un dito.

Peggio è andata con la riforma del trasporto pubblico locale, sfida decisiva per i prossimi decenni con le gare nel trasporto pubblico su gomma e in quello ferroviario pendolari, il rinnovo del parco bus, il rilancio presso i cittadini con possibili agevolazioni fiscali. Le prime bozze sono di 15-18 mesi fa ma non si è mai considerato urgente questo provvedimento. Sarebbe arrivato al Consiglio dei ministri forse alla prossima seduta. Tre riforme mancate (legge obiettivo, codice appalti, trasporto locale) che avrebbero davvero dato il segno di una discontinuità.

Lupi ha anche promesso una nuova legge urbanistica che non si è vista come non si è visto alcun altro intervento per le città (anche il mediocre piano città di Mario Ciaccia è stato abbandonato) mentre bisogna dare atto al ministro di un grande sforzo per riattivare una politica abitativa (fondo emergenza abitativa, ristrutturazione alloggi Iacp, social housing, accordo mutui con Abi e Ance) anche spostando risorse in precedenza destinate alle infrastrutture. Qualche segnale si vede in quella direzione ma forse Lupi contava su tempi più lunghi per raccogliere risultati più robusti.

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