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Un political compact per l’Europa

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Europa

Un political compact per l’Europa

  • –Carlo Bastasin

LA RIFLESSIONE

Fabbrini elabora un’architettura, sulla carta ben equilibrata, in cui il carattere della condivisione

di sovranità varia a seconda del potere che deve essere esercitato

Dopo sette anni di crisi finanziaria, sappiamo che le istituzioni europee – e perfino le democrazie nazionali – stanno modificandosi per adattarsi a un lungo processo improvvisato di soluzioni sotto la pressione di problemi dotati di impellenza e di minacce esiziali. Alexander Hamilton si chiese se mai gli uomini sarebbero stati in grado di organizzare un buon sistema di governo in base alla loro immaginazione e discernimento, anziché far discendere le loro costituzioni dalle crisi e dalla violenza. Finora, non c’è stata sufficiente riflessione, né discernimento, sulla destinazione del progetto europeo.

In “Which European Union?”, Sergio Fabbrini si pone analiticamente di fronte alla domanda su quale Europa stia emergendo. E offre una sua originale proposta. Secondo Fabbrini, direttore della School of Government della Università Luiss, l’Unione europea è sempre stata composta da più progetti di unione di diversa natura, la cui problematica coesistenza è emersa con forza nel corso della crisi e ha prodotto conseguenze ambigue in termini di efficacia e trasparenza delle decisioni. Nel corso dei decenni passati, prospettive diverse dei Paesi membri (comunità economica, unione intergovernativa o unione parlamentare) avevano dato luogo a compromessi nell’edificazione del progetto europeo, ciò ha prodotto torsioni nelle proprietà istituzionali dell’Unione europea. Queste torsioni si sono accentuate e sono arrivate vicine al punto di rottura durante la crisi.

La molteplicità va ora risolta attraverso un nuovo ordine politico: un’unione federale di Stati che si basi sulla distinzione tra Paesi euro e non-euro e che fondi l’unione più stretta dei primi su un accordo esplicito, un “political compact” basato sulla separazione dei poteri, secondo un modello di democrazia composita che richiama il linguaggio di James Madison.

Il primo passaggio è quello dunque di scandire istituzionalmente la divisione - di fatto e di preferenze politiche - che si è sviluppata tra Paesi euro e non-euro durante la crisi. In questo quadro bisogna accettare che l’interesse dei paesi esterni all’euro sia di semplificare le regole del Trattato di Lisbona che rappresentano una base legale troppo stringente per presiedere alla sola ordinata partecipazione al mercato unico a cui quei paesi sono primariamente interessati. Si tratta di un passaggio critico per chi è fedele alla definizione del progetto europeo di un’unione sempre più stretta – e anche per chi osserva crescere la prospettiva della politica estera e di difesa europea - ma la vicenda politica e la specifica incertezza del futuro europeo della Gran Bretagna portano Fabbrini a considerare una soluzione ordinata alla tentazione di distacco di alcuni Paesi.

Una volta accomodata la separazione, sarà possibile risolvere le ambiguità che fin dal Trattato di Maastricht caratterizzano l’ordine politico europeo, rappresentando i Paesi euro dentro un modello originale e comprensivo di unione “composita”. In realtà la tradizionale contraddizione tra elementi intergovernativi e sovranazionali non viene cancellata, ma risolta assoggettandola a un principio ordinativo superiore, quello della separazione dei poteri. Fabbrini elabora quindi un'architettura, sulla carta ben equilibrata, in cui il carattere della condivisione di sovranità varia a seconda del potere che deve essere esercitato. Il potere esecutivo in particolare si basa sul riconoscimento del ruolo del Consiglio europeo (i capi di governo dei singoli Stati), ma sotto la guida e gli ampi poteri di un presidente, una specie di capo di governo dei governi. Alla Commissione europea farebbe capo il compito di implementazione delle decisioni del Consiglio.

Fabbrini resiste alla sensazione, che molti di noi hanno, di denunciare un arretramento anche morale rispetto a quando l’Europa poteva essere intesa, come direbbe Habermas, come il passo più avanzato nella storia umana lungo la strada di una società mondiale politicamente costituita. Come il luogo kantiano della legge e dell’orientamento cosmopolita, una teleologia ritrovata dopo l’offuscamento di un’era barbara e belligerante. L’autore ritiene che si debba invece prendere atto di attitudini culturali distinte che stanno allontanando alcuni paesi. Ciò sottintende che le divisioni politiche tradizionali, destra e sinistra, e quindi la parlamentarizzazione della Ue, non possano risolvere il tema europeo.

È una premessa forte per chi invece ritiene che le attitudini non rappresentino radici secolari inestirpabili, ma una declinazione di interessi rispettabili da comporre attraverso i giusti incentivi in un interesse comune. Il carattere economico della crisi inoltre ha evidenziato la forza di preferenze dei cittadini “decentrate” rispetto al controllo dei governi. Si pensi al rischio di fuga dei capitali o di corsa ai depositi bancari (avvenuta perfino in Germania). Queste “attitudini” sono per loro natura variabili.

Più in generale, tuttavia, Fabbrini riesce ammirevolmente a denudare l’errore di metodo che tutti tendiamo a compiere nell’analisi della crisi, quando rinunciamo a evidenziare analiticamente la fragilità delle fondamenta istituzionali dell’edificio europeo. Il primo errore è tipico degli economisti che, adottando modelli dinamici di equilibrio generale, danno per scontato un ritorno all’equilibrio. Gli errori sono al più “disturbi” statistici, le incoerenze di sistema sono “ritardi”. Questa forma poco sofisticata di storicismo corrisponde a quello di politologi che danno per scontata la convergenza politica di tutti i paesi verso un’ever closer Union o verso la fine dell’Europa. Sottostante c’è una pigrizia ideologica, le cui finzioni analitiche entrano nel linguaggio comune e vengono sfruttate dai governi per elaborare narrazioni della crisi che difendono l’esistente, aggirando la necessità di riscrivere i limiti dei loro poteri in Europa.

Fabbrini rompe l’inerzia che trattiene tanti intellettuali dall'allontanarsi dalla costa. Non entrerò nel dettaglio dell’analisi, la cui profondità è inconsueta. Ma “Which European Union?” scandisce il processo storico istituzionale europeo fino a rivelarcelo in modo inedito. Il volume organizza analisi precedenti di Fabbrini di cui molti osservatori - per primo chi scrive - hanno approfittato nei loro lavori recenti. La crisi viene descritta come coesistenza problematica delle diverse unioni che convivono all’interno dell’ordine legale e istituzionale europeo, Fabbrini ne svela le contraddizioni a ogni plesso decisionale.

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