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Se la Bce «dimentica» il piano Juncker

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Se la Bce «dimentica» il piano Juncker

Il Qe della Bce guidata da Mario Draghi è appena partito e ci vorrà tempo per valutarne gli effetti.C'è chi lo considera una cornucopia (specie il mercato azionario europeo) e chi lo considera (la Bundesbank) un vaso di pandora. Cruciale sarà la capacità del Qe nel trasmetterne i suoi effetti dal sistema creditizio-finanziario all'economia reale. Per noi sarebbe stato meglio un intervento diretto di spesa pubblica europea per le infrastrutture e gli investimenti.

O almeno un coordinamento innovativo tra Bce e Bei per potenziare il tenue Piano Juncker. Si ha invece l'impressione che in Europa il coordinamento conti poco talvolta per dogmi statutari altre volte per barriere fattuali. Per questo è urgente riflettere sulle regole e le istituzioni europee sulle quali si è intrattenuto di recente (pur senza riferimenti al Qe) il ministro Pier Carlo Padoan.
Moneta, finanze, crediti. In ottobre Draghi disse che il rischio di fare poco superava quello di fare troppo. In base a questo criterio già dal giugno 2014 c'è stata una accentuazione delle misure della Bce. Sono stati tagliati i tassi di interesse fino allo 0,05% portando a 0,20 negativo quelli sui depositi, è partito il Tltro cioè liquidità alle banche commerciali a tassi molto bassi (adesso allo 0,05%) e con condizione che l'uso della stessa andasse a finanziare imprese e famiglie, s'è varato l'acquisto di titoli privati quali gli Abs proseguendo nell'acquisto di covered bond. Infine a gennaio è stato deciso il Qe per l'acquisto di titoli di stato , di agenzie pubbliche e di istituzioni europee.
Dal recente bollettino della Bce sembra che gli effetti finanziari e creditizi del Qe stiano già dimostrandone il successo.

Dal punto di vista finanziario si rileva il calo generalizzato dei rendimenti obbligazionari europei sia dei titoli di stato che di quelli corporate (che in vari casi hanno raggiunto i minimi storici andando addirittura in negativo), la riduzione degli spread, l'allargarsi del divario dei rendimenti sui titoli di stato Usa, il deprezzamento dell'euro, l'aumento delle quotazioni azionarie.
Dal punto di vista creditizio si rileva che la riduzione dei tassi della provvista bancaria si sta trasmettendo ai tassi gravati sulle famiglie e sulle imprese,che il divario di questi tassi tra paesi della eurozona,pur rimanendo marcata,si va riducendo,che l'erogazione del credito sta migliorando.Il bollettino accenna che questo potrebbe essere dovuto al Tltro(ma non era stato un insuccesso?) che,tra l'altro, nell'asta di marzo è andato molto meglio del previsto collocando alle banche quasi 100 miliardi di liquidità al tasso dello 0,05%.
Non si riscontrano invece preoccupazioni per i contraccolpi di varie possibili “bolle”sui quali noi ci siamo già intrattenuti il 17 marzo e che sono emersi anche da ambienti della Banca per i regolamenti internazionali.

Crescita, investimenti, occupazione. La Bce denota una cauta fiducia sul miglioramento della situazione a partire dalla seconda metà del 2014 per due fattori che affiancano la politica monetaria espansiva, e cioè la debolezza dei prezzi del petrolio( che aumenta il potere d'acquisto e il consumo) e quella debolezza dell'euro sul dollaro( che sostiene le esportazioni).Si giunge quindi a prevedere per l'eurozona una crescita del pil dell'1,5% nel 2015,dell'1,9% nel 2016,del 2,1% nel 2017.
Queste previsioni vanno lette tenendo conto di vari fattori.Il primo è che nell'eurozona il Pil è tuttora il 2% sotto quello precrisi; il secondo è che gli investimenti sono il 17% sotto il livello precrisi; il terzo è che il settore delle costruzioni stenta a ripartire; il quarto è che i divari di crescita e di occupazione tra i Paesi della eurozona rimangono un fattore di freno: il quinto è che la situazione dei conti pubblici e delle riforme strutturali di vari paesi richiedono ulteriori progressi.
La conclusione è che la disoccupazione rimane all'11,2% e che malgrado il calo di gennaio 2015 sul corrispondente 2014 sia stato dello 0,6% siamo ancora ad un tasso di disoccupazione che è di 4 punti percentuali superiore a quello precrisi.
È dunque strano che il bollettino Bce non dedichi ampio spazio al Piano Juncker per gli investimenti ed ai suoi intrecci con la Bei, anche in relazione al Qe
Riforme strutturali e regole istituzionali. Il bollettino della Bce esamina invece le riforme strutturali nei vari Paesi concentrandosi molto sul rispetto del fiscal compact, dei saldi strutturali e sul calo del rapporto debito su pil. Nulla di nuovo si aggiunge,salvo una valutazione sull'Italia contestata dal Mef.

Non si tocca invece il tema delle regole istituzionali europee che invece dovranno riflettere sul Qe e sui limiti della Bce che può agire solo per la stabilità monetaria e il controllo dell'inflazione da spingere al presente verso il 2%.Tutto il resto, nel bene o nel male, sono davvero effetti collaterali che “non devono” riguardare la Bce?
Si pone qui un problema sulle regole trattato acutamente da Pier Carlo Padon nella laudatio per il conferimento alla Luiss-Guido Carli della laurea honoris causa al Nobel per l'economia Jean Tirole. Le regole ex ante e il loro rispetto creano reputazione e fiducia ma ex post vanno valutate per la loro capacità di conseguire obiettivi di sviluppo perché altrimenti rischiano di mettere in crisi le Istituzioni. Così le regole del fiscal compact se puntate meccanicamente al decremento del debito sul Pil e dei saldi strutturali (con calcoli imprecisi dell'output gap) produrrebbero effetti contrari a quelli desiderati danneggiando investimenti e crescita.
Nella crisi, conclude Padoan, si è riusciti a usare flessibilità interpretativa delle regole ma la Ue deve innovare istituzionalmente anche con una maggiore equilibrio tra Parlamento, Consiglio e Commmissione per identificare una strategia di lungo periodo che porti crescita, lavoro e benessere. Speriamo che il Governo italiano si impegni in questo progetto europeo che dà orientamento anche alle riforme interne oggi facilitate e non sostituite dai bassi tassi di interesse.

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