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Corruzione, premiare chi denuncia

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IL COMMENTO

Corruzione, premiare chi denuncia

È positivo che il governo si stia impegnando attivamente nella lotta alla corruzione. La corruzione è un cancro che se non viene estirpato si diffonde. Poche persone giustificano moralmente la corruzione, ma molte la accettano perché il costo di non essere corrotti aumenta con il numero di corrotti.

È come il costo di rispettare la fila per prendere uno skilift. Quando pochi la rispettano: chi lo fa non va avanti, ma va indietro. Tanto più elevata è la percezione della corruzione, tanto più i cittadini si sentono giustificati nell'accettare e pagare tangenti, perché sanno che rispettando le regole non riceveranno mai i servizi dovuti. Non a caso sulle nostre piste di sci vediamo i tedeschi, che in patria rispettano rigorosamente le code, tagliare le nostre con gusto. Gli inglesi hanno perfino un detto “quando sei a Roma fai come i Romani” (e non si riferiscono al cappuccino).

Prima che la metastasi uccida il nostro Paese è necessario agire. Il Governo ha scelto due direzioni di attacco: da un lato una nuova legge sulla corruzione, dall'altro un nuovo regolamento anticorruzione per le società partecipate dal governo. Apprezzo soprattutto la seconda. Il Governo non è credibile nella lotta alla corruzione se non comincia prima di tutto in casa propria. La normativa è piena di ragionevoli precetti: trasparenza, monitoraggio, rotazione.

Manca però un aspetto fondamentale, che gli Americani chiamano “tone at the top”, i valori condivisi dai vertici aziendali. Per sradicare la corruzione ci vuole una forte volontà di pulizia al vertice. Nessuna organizzazione può prevenire gli atti di un singolo impiegato disonesto. Ma qualsiasi organizzazione può, se lo vuole, evitare la corruzione diffusa. Per farlo, però, l'esempio deve partire dal vertice e si deve applicare la tolleranza zero. Non solo chi viola le norme interne, ma anche chi le rispetta in modo solo formale deve venire penalizzato la prima volta e licenziato la seconda.

Purtroppo viene esteso in modo improprio il garantismo anche alla responsabilità manageriale. Per licenziare un dirigente non occorre dimostrare in tribunale la colpevolezza, basta che si rompa il rapporto fiduciario. Quando i vertici di una società si impegnano chiaramente nella lotta alla corruzione, anche solo il “girarsi dall'altra parte” di fronte ad un episodio di corruzione rompe questo rapporto. Non solo l'atto corruttivo, ma la tolleranza dell'atto diventa motivo di licenziamento. La protezione del posto di lavoro di fronte ad episodi di questo tipo è insostenibile.

Apprezzo meno il disegno di legge anticorruzione, che tra l'altro sta andando molto a rilento. Qualsiasi aumento delle pene si può applicare solo per i reati commessi da qui in avanti, e solo quando le persone saranno condannate. Quindi i primi effetti si vedranno tra dieci anni. Troppi per chi, come l'Italia, è devastata dal cancro. Occorre un intervento ad effetto immediato. Questo intervento può essere un sistema di incentivi per i “whistleblower”, quelli che noi ingiustamente chiamiamo “delatori”, ma che si dovrebbero chiamare denunzianti civici. Oggi chi denuncia la corruzione rischia non solo di essere licenziato, ma di non essere piu' riassunto. Un malcelato senso di solidarietà, ostracizza i denunzianti civici, anche quando hanno ragione ed espongono i piu' orrendi crimini. Guardate cosa succede alla povera Kathryn Bolkovac nel film “The Whistleblower”. È la storia vera di un poliziotto del Nebraska che espone una rete di traffico sessuale gestita da funzionari dell'Onu in Bosnia. Alcuni eroi, come lei, sporgono denunzia nonostante le conseguenze, ma un Paese non funziona se ha bisogno di troppi eroi.

L'idea di premiare i denunzianti civici in America nasce durante la guerra civile. L'esercito di Lincoln era devastato da fornitori fraudolenti di armi e divise. Per sradicare questo problema fu introdotto un premio per chi denunciava i colpevoli. Ed anche grazie a questo meccanismo Lincoln vinse la guerra civile. Lo stesso meccanismo è stato reintrodotto in America da Ronald Reagan nel 1986 con il False Claims Act. Chiunque può fare causa contro chi defrauda la pubblica amministrazione, ricevendo in compenso pari al 15%-25% dei rimborsi ottenuti dalla stato. Questo meccanismo scoraggia i falsi delatori, che devono pagare le spese processuali senza ottenere nulla, mentre incoraggia chi ha una notizia vera di una frode. Nella maggior parte dei casi, il denunziante inizia solo la causa. È poi il Governo a proseguirla, garantendo il 15% dei ricavi al denunziante. Dal 1986 grazie al False Claims Act, gli Stati Uniti recuperano ogni anno più di un miliardo di dollari attraverso questo meccanismo, quando prima recuperavano al massimo 50 milioni all'anno. Ma l'aspetto più importante del False Claims Act non è la punizione, ma la deterrenza. Sapendo che ognuno si può trasformare in un denunziante civico, i corruttori temono perfino i propri complici. Questo rende la corruzione molto piu' difficile.

In un meraviglioso episodio, la National Public Radio americana racconta come un manager di un grande gruppo italiano sia riuscito a sradicare l'assenteismo in un impianto del Sud rendendolo più produttivo dell'impianto principale. Lo ha fatto con una combinazione di valori al vertice ed incoraggiamento dei denunzianti civici. Se con questi due ingredienti si è riusciti a sradicare la piaga dell'assenteismo, si può anche eliminare la corruzione. Basta volerlo.

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