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È tutta qui la rivoluzione sulla Rai?

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IL PIANO SULLA TV PUBBLICA

È tutta qui la rivoluzione sulla Rai?

Canone sì canone no. Questo dubbio, esplicitato ieri dal presidente Renzi, contiene l'incertezza anzi vorrei dire la confusione del governo sulla Rai. Il resto – dice il governo – è tutto chiaro. Più poteri all'amministratore delegato nominato dal governo, un membro del consiglio di amministrazione eletto dai dipendenti, due consiglieri in meno rispetto al passato e ancora la commissione parlamentare di vigilanza. Se non va bene così resta la legge Gasparri. Una minaccia o una speranza? Vista la confusione della proposta e la sua modestia il dubbio c'è. Ci si aspettava di più da Renzi dopo i proclami? Sì.

Tutti i servizi pubblici in Europa – in percentuali diverse – hanno il canone perché l'Europa ha scelto un modello di servizio pubblico con un surplus di responsabilità sociale e culturale che consenta di essere contemporaneamente il motore dell'industria dello showbusiness e dell'identità nazionale. Per sottrarsi all'egemonia dei format standard globalizzati che sono in ogni paese il pane delle televisioni commerciali.

I servizi pubblici nazionali devono o dovrebbero nel mondo globalizzato – multimediale multipiattaforma – avere chiaro cosa vuol dire produrre in via prioritaria il “Made-in” stimolando in questa direzione autori, registi, documentaristi, uomini di spettacolo, di cinema oltre che giornalisti. La Rai può fare questo nello stesso modo con o senza il canone? No. Naturalmente questo non vuol dire che la Rai organizzata così, con gli uomini che ha, va bene.

A scanso di equivoci penso che oggi la Rai sia quasi una “Bad company” che con 13.000 dipendenti e 1.500 giornalisti è soprattutto una grande società di distribuzione di contenuti non suoi di cui possiede diritti solo in minima parte. Non una produttrice di prodotti “All rights” per tutte le piattaforme della catena su cui viaggiano e si consumano i contenuti. Con l'eccezione in parte della fiction e del cinema. Questo perché il prodotto e gli uomini del prodotto sono stati quasi completamente espulsi dall'azienda e dai ruoli decisionali. Comandano manager amministrativi o gestionali che poco o nulla sanno di prodotto. Ma si dice non tocca al governo descrivere la mission industriale di un'azienda come la Rai. Il governo ha fatto il suo dovere. E allora ci si chiede: è il governo che “deve” avere una politica industriale in base alla quale poi si scelgono uomini, organizzazioni e prodotti oppure no? Rispondo con un esempio: l'Ilva deve essere privata, pubblica o pubblica e privata? Chi lo decide, l'amministratore delegato o il governo che lo nomina per realizzare questo o quell'obiettivo industriale? Il tanto invocato primato della politica cosa è se non la capacità di dare linee strategiche per l'azione?

E allora tornando a “canone sì,canone no” il tema è sapere se si vogliono fornire entrate certe per fare investimenti strategici di lungo periodo che siano il volano dell'industria nazionale dello spettacolo, dell'intrattenimento e dell'informazione cioè dell'identità nazionale oppure no. A seconda della risposta cambia completamente lo scenario di riferimento. La scelta spetta alla politica e alla sua capacità di esprimere realmente un primato.

È tutta qui la rivoluzione di Renzi sulla Rai? Speriamo di no. Forse come è abituato a fare lancia il tema, vede le reazioni e aggiusta piano piano il tiro. Per ora però la montagna ha partorito il topolino.

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