La mossa su Pirelli ha reso Ren Jianxin, il re della chimica cinese, più forte in casa propria. Il fondatore di China Chemical, conglomerata da 70 miliardi di dollari di fatturato, nata dieci anni fa sui detriti di oltre un centinaio di aziende diffuse su tutto il territorio, guida il quarto gruppo del mercato interno. Che è una potenza anche a livello globale, dato che la Cina ha agguantato (e se la tiene stretta) la leadership della chimica mondiale.
Da come si esprime durante l’estenuante incontro (il primo della sua carriera di manager pubblico poco incline a concedersi ai media) con una selezionata cerchia di giornalisti stranieri convocati di domenica mattina negli uffici di Haidian, chairman Ren Jianxin dà l’impressione che l’affare Pirelli – il tema del giorno - sia soltanto lo snodo di ulteriori passaggi. Un sequel di cui lui, e lui soltanto, conosce trama e finale. Due mesi fa, per dire, ha chiesto un nuovo visto per gli Stati Uniti (era finito, chissà come, in black list): perché stavolta, in America, vuol andarci di persona, senza dover delegare il suo vice. Ingegnere, nato a Lanzhou, nel Gansu, il 9 gennaio del 1958 per i cinesi Ren è del segno del gallo, per l’occidente un capricorno. In ogni caso, ha un’indole autonoma e testarda.
Chairman Ren, la sua strategia di merger & acquisition sullo scacchiere della chimica globale parte da lontano, già dai tempi di Bluestar, la start up creata con 10mila renminbi e poi confluita in China Chemical. Dalle ipotesi di fine anni Ottanta è passato ai fatti: Adisseo, Oenos, Rhodia. Ultima arrivata, se tutto va come deve, Pirelli. Settori molto diversi, ma la filosofia sembra la stessa, dai mangimi alle ruote della formula 1.
Certo, noi cinesi non abbiamo le conoscenze tecniche dell’Occidente, e negli anni Ottanta quando ho cominciato a occuparmi di chimica iniziavamo a muovere i primi passi come Paese, ma anche in questo settore, la chimica, che della crescita è un motore importante, eravamo indietro. La chimica cinese è cresciuta grazie alle acquisizioni. Non avevamo e ancora non abbiamo tutto ciò che ci serve per essere autosufficienti. Per anni abbiamo osservato la crescita di queste società e acquisito una buona conoscenza della loro capacità, la tecnologia, i mercati, il potenziale e la cultura aziendale e storica.
Contattaste la francese Adisseo già nel 2003. Anche Pirelli – ci ha rivelato un ex manager dell’azienda – era da molto tempo nel mirino di China Chemical, un oggetto di desiderio. Quattro anni fa, come lei stesso ha rivelato, l’affare sfumò per una fuga di notizie, aprendo la strada ai russi di Rosneft.
Rosneft ha fatto su Pirelli un’operazione finanziaria, non industriale. Noi abbiamo altri obiettivi e già dai tempi di Adisseo volevamo comprare la tecnologia francese, stavamo costruendo a Tianjin una fabbrica molto grande per la produzione di metionina, il principale additivo per l’alimentazione degli animali. La nostra richiesta è stata respinta. BlueStar aveva anche stretti legami con Rhodia. Nel 2006 BlueStar ha acquisito la totalità di Adisseo, ai tempi il più grande investimento diretto della Cina in Francia. Sempre nel 2006 abbiamo comprato Rhodia, forte nei monomeri di silicio. Quello che ne abbiamo ricavato è stata la possibilità per la Cina di produrre grandi quantità di metionina, il Paese è diventato una base produttiva a livello mondiale in questa specialità, mentre la Cina è balzata al terzo posto per il silicio. Centinaia di tecnologie brevettate nel campo della metionina e dell’organosilicio sono finite nel nostro portafoglio facendoci fare dei grandi progressi.
Nonostante ciò l’industria cinese sta seguendo il processo di sviluppo che i Paesi industrializzati hanno realizzato tra gli anni 50 e 70, l’ultimo decennio ha visto l’esplosione dei consumi di chimica in Cina e anche il fortissimo aumento della produzione grazie anche alle scelte di investimento di molti grandi gruppi chimici mondiali (e anche italiani). Attualmente siete primi al mondo per produzione con 1.047 miliardi di euro nel 2013 pari al 33% del mercato globale. Solo 10 anni fa la Cina era l’8,7 per cento. Oggi domina la classifica degli investimenti chimici con 67 miliardi di euro, pari al 50% degli investimenti dei principali otto Paesi mondiali. Tutt’altro che una Nazione in via di sviluppo.
La Cina nella chimica ha fatto enormi progressi, ma non dobbiamo dimenticare che da noi soprattutto in questo momento abbiamo problemi di grande frammentazione e soprattutto di overcapacity, di sovraproduzione. Ci sono prodotti nei quali siamo leader, ma di fatto abbiamo un deficit di bilancio. La Cina è ormai diventata leader nelle esportazioni mondiali, è il caso delle fibre chimiche, ma il deficit commerciale cinese nel 2013 era di 52 miliardi di euro. Stiamo aumentando la specializzazione ma siamo di gran lunga il più grande Paese importatore di commodities e lo saremo ancora negli anni a venire. Anche la nostra situazione va letta nell’insieme, dunque.
China Chemical è una State owned company, una Soe. Ha le caratteristiche che i grandi gruppi chimici avevano fino a 20 anni fa, diversificati tra chimica di base, prodotti chimici e alcuni prodotti fortemente legati alla chimica come i pneumatici. Come tutte le grandi Soe ha un valore finanziario non espresso. Si calcola che se la presenza dello Stato in Cina scendesse dal 70 al 30 sul mercato pioverebbero 36 trilioni di renminbi. Una manna.
Le cose stanno cambiando e cambieranno ancora. Non ci spaventa tutto ciò. Dal 1 gennaio io sono ufficialmente il chairman di China Chemical, non più il presidente inteso come general manager. Questo vuol dire che ci stiamo dando una struttura simile a quella delle aziende private, con un board e appunto un chairman, conseguenza diretta dei cambiamenti nella governance.
Ce ne saranno moltissimi ancora, di cambiamenti, cosa pensate di fare, siete pronti? Il Governo vuol monitorare anche l’efficienza delle acquisizioni all’estero, quelle frutto della strategia del Go Global. Voi siete campioni di internazionalizzazione.
Non ci sottrarremo a nessun tipo di novità. Le Soe saranno monitorate anche all’estero ed è giusto che sia così. Non eviteremo nessun tipo di sfida, ci siamo già dati una struttura in linea con la privatizzazione e se e quando sarà attivato il monitoraggio sulla reddività dobbiamo comunque rendere conto agli azionisti per quello che succede nelle aziende acquisite all’estero. Stiamo migliorando anche la parte delle risorse umane e del recruitment, tra questo rientra la possibilità di fare assunzioni tra i talenti cinesi anche attraverso procedure online. Molte delle persone che sono sedute a questo tavolo sono state assunte così di recente.
Nel 2016 si ridiscute l’articolo 15 delle regole per l’accesso della Cina al Wto. Soprattuto l’attribuzione alla Cina dello status di economia di mercato, il che avrebbe notevoli conseguenze in un settore come la chimica. L’Europa è il secondo partner della Cina con il 9% delle esportazioni, una piazza per aziende chimiche europee. Ma le aziende europee aderenti al Cefic pensano che la Cina non sia pronta a questo passo perché non ottempera ai criteri base di far competition. Lei cosa pensa di questa posizione contraria a concessioni unilaterali?
La Cina è in un continuo cambiamento e questo richiede che le decisioni globali vengano prese da tutte le forze in ballo, non solo l’Europa, anche gli Stati Uniti che pure sono nostri partner commerciali. C’è un negoziato in corso tra Europa e Cina sugli investimenti reciproci che continua a fare il suo corso. Ma come dicevo siamo ancora in evoluzione e dovremo risolvere a nostra volta una serie di problemi interni. Tutto questo non è irrilevante quando si chiede alla Cina di rispettare gli impegni che ha preso nel 2001 entrando nel Wto.