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La nuova era del Museo Egizio

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Italia

La nuova era del Museo Egizio

Si sale su, fino al secondo piano per iniziare il viaggio all'interno del nuovo Museo Egizio di Torino. Si sale per cinque rampe di scale mobili, ricavate nel cuore del palazzo seicentesco, l'antica Accademia delle Scienze, che ospita le sale. E si comincia con i reperti dell'epoca predinastica e con lo straordinario corredo funebre della Tomba degli ignoti, frutto degli scavi di Ernesto Schiaparelli a fine Ottocento. E poi la Galleria dei sarcofagi e la tomba di Kha, al primo piano, fino allo Statuario del premio Oscar Dante Ferretti al piano terra, che nel nuovo allestimento diventa la Galleria dei re. La storia di questo cantiere, di restauro e di riallestimento, è durata tre anni e mezzo, anche se il progetto di un nuovo Egizio è nato dieci anni fa.

La sfida è stata quella di trasformare un museo antiquario, di gusto ottocentesco, nato intorno a un primo nucleo di acquisizioni fatte a inizio Ottocento da Casa Savoia, in un museo archeologico, nel quale la visita diventa esperienza, con allestimenti che ricostruiscono contesti cultuali, epoche storiche e missioni di scavo. Un intervento da 50 milioni di euro, «con tempi e costi rispettati» sottolinea Evelina Christillin, presidente della Fondazione Museo delle Antichità egizie di Torino. La fine dei lavori, l'apertura al pubblico delle nuove sale rappresentano «un punto di inizio» come ribadisce il direttore del Museo Christian Greco, arrivato a Torino dieci mesi fa da Leiden e ideatore, insieme a otto egittologi, del progetto scientifico che ha ispirato il nuovo Museo. «Quella dell'Egizio di Torino è la seconda collezione al mondo – aggiunge Greco – ma per diventare il secondo museo dobbiamo fare ricerca. Senza ricerca l'Egizio non ha futuro». Un tema centrale, che richiama il grande patrimonio culturale italiano a rimettersi in marcia. E superare la logica del “puro allestimento” per imboccare la strada, battuta dalle grandi istituzioni museali del mondo, della ricerca sul campo. Una strada che l'Egizio riprende nel quadro del progetto “Connessioni” messo a punto dal direttore e che porta fino alla necropoli di Saqqara, dove il team di scienziati torinesi, da maggio prossimo, tornerà a scavare dopo più di vent'anni, grazie al progetto anglo-olandese di cui Greco è vicedirettore dal 2011.

Quella del riallestimento del Museo Egizio di Torino è stata una sfida anche per un altro paio di motivi. Il primo: il «felice connubio», come lo definisce Christillin, tra pubblico e privato che ha permesso di realizzare un progetto da 50 milioni, garantiti per metà dalla Compagnia di San Paolo – «Abbiamo fatto il nostro dovere nei confronti del territorio e dei cittadini», ha sottolineato ieri Luca Remmert, presidente della Compagnia. Per l'altra metà dalle istituzioni locali, a cominciare dalla Città di Torino, e dalla Fondazione Crt. Lo stesso presidente della Regione Sergio Chiamparino ha ricordato le polemiche seguite alla decisione di scegliere la fondazione come strumento per realizzare l'intervento. Per il ministro della Cultura Dario Franceschini, un caso di successo che «bisognerebbe ripetere in altre città italiane. Le fondazioni sono previste dalla legislazione italiana dal 2004 ma sono ancora troppo poche. Bisogna superare una visione vetusta e un approccio tardo ideologico che considera negativamente il ruolo dei privati, accanto al pubblico, nella gestione dei beni culturali».

L'altra sfida affrontata in questi mesi è stata quella di non chiudere mai il Museo e di far convivere, gomito a gomito, cantiere ed esposizione. «È stato impegnativo e complesso – sottolinea Christillin – ma ci ha permesso di continuare a crescere e di raggiungere il picco di visitatori l'anno scorso». Ora l'obiettivo è sfondare il mezzo milione e raggiungere quota 750mila, per scalare la classifica dei musei italiani più visitati. Tra le molte novità del Nuovo Museo Egizio, l'area dedicata alla Galleria dei Sarcofagi, restaurati a Venaria con il contributo del Reparto Antichità Egizie dei Musei Vaticani, e le ricostruzioni digitali della Tomba di Kha, della tomba di Nefertari e della Cappella di Maia.

Il progetto per i lavori porta la firma del torinese Aimaro Isola, con Isolarchitetti e, fra gli altri (in una cordata formata anche da ingegneri, restauratori e impiantisti), lo scenografo Dante Ferretti. La cordata, unica italiana fra quelle in corsa, è stata scelta con l'aggiudicazione di una gara internazionale nel 2007. I lavori sono stati eseguiti, invece, dalla Zoppoli&Pulcher. «L'idea forte che ci ha accompagnati nella progettazione – racconta Aimaro Isola, professore emerito del Politecnico – è far parlare non solo le opere e i reperti, ma anche l'edificio e la sua storia». Con una riqualificazione ispirata a “un'architettura colloquiata” e nuove soluzioni non previste all'origine, «come le strutture di sospensione che abbiamo creato ad hoc – racconta Saverio Isola – per reggere il peso di una parte dei pezzi dello statuario, posizionati ai piani alti dell'edificio».

(Ha collaborato maria Chiara Voci)

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