«Quando gli assalitori sono arrivati nel dormitorio hanno iniziato a chiedere se eravamo cristiani o musulmani. Ai primi sparavano sul posto», ha spiegato, ancora visibilmente scosso, Collins Wetangula, membro di un’associazione studentesca. «Mentre scappavamo abbiamo visto alcuni corpi decapitati. È stato orribile. Hanno ucciso molte persone», ha poi precisato la studentessa Winnie Njeri.
Il racconto dei giovani kenyoti scampati al massacro nel campus universitario di Garissa, località del Kenya orientale, a 150 chilometri dalla frontiera somala, restituisce solo in parte la carneficina portata a termine da un commando di Shabaab, gli estremisti somali affiliati ad al-Qaeda capaci di competere, quanto a efferatezza dei loro crimini , ai jihadisti dell’Isis.
Shabaab che minacciano nuovo attacchi:«Non ci sarà alcun luogo sicuro per voi, finché il Kenya manterrà le truppe in Somalia», ha detto un portavoce dei jihadisti, Sheikh Ali Mohamud Rage a radio Andalus, legata al gruppo.
Fino a ieri sera, quando il blitz delle forze speciali era ancora in corso, non era chiara la dinamica dei fatti. Restava solo una certezza: il bilancio del gravissimo attentato era ancora provvisorio. Anche perché, fino a tarda sera, mancavano all’appello quasi 300 studenti degli 880 che si trovavano nel campus. Le vittime accertate venerdì dal ministero degli Interni sono 148, di cui 142 studenti cristiani, tre poliziotti e tre militari. Ma altre fonti, come i missionari salesiani in Kenya, hanno stimato un bilancio più grave di quello ufficiale: «Si parla di circa 200 morti, oltre che di una settantina di feriti e di 300 allievi di cui non si hanno più notizie», hanno dichiarato i religiosi, dicendosi «sotto shock».
Sembra che all’alba alcuni miliziani armati siano penetrati nel campus da una vicina moschea. Prima hanno ucciso due guardie. Una volta entrati negli alloggi degli studenti, dopo una frettolosa selezione tra musulmani e cristiani, avrebbero liberato i primi sparando invece a raffica contro i secondi e cercando di stanare, anche con granate, chi si era nascosto. Secondo le autorità, quattro terroristi sono stati uccisi.
Il Kenya precipita così ancora nell’incubo dell’estremismo islamico. Quello degli Shabaab, una sigla che genera terrore tra la popolazione e che ha messo in ginocchio uno dei settori più importanti dell’economia kenyota: il turismo. Non sono certo noti come l’Isis, al -Qaeda o Boko Haram. Eppure, con i loro attentati, così frequenti e brutali, gli Shabaab hanno sempre occupato una posizione di primo piano all’interno del network jihadista mondiale. Probabilmente oscurata negli ultimi tempi dall’offensiva dell’Isis in Sira e Libia, dalle carneficine compiute dagli estremisti di Boko Haram nel Nord Est della Nigeria, o dalle guerre in Corso in Yemen, Iraq, Siria e Libia.
La loro creazione risale ormai a dieci anni fa. Era il gennaio del 2005, quando gli Shabaab (in arabo significa la “gioventù”) devastarono il cimitero italiano di Mogadiscio, simbolo cristiano, costruendovi sopra una rudimentale moschea in lamiera. Da quel momento cominciò a circolare il loro nome. E quando, nel 2007, l’Etiopia ritirò il suo esercito dalla Somalia, inviato nel 2006 per sconfiggere il regime delle ben più moderate Corti islamiche, gli estremisti somali sferrarono un’offensiva inarrestabile contro il Governo di transizione somalo, riconosciuto dalla Comunità internazionale e difeso solo dall’Amisom (il vulnerabile contingente dell’Unione africana).
In due anni arrivarono a controllare la Somalia centro meridionale, compresi quasi tutti i quartieri di Mogadiscio, un territorio esteso più dell’Italia in cui potevano disporre di aeroporti e porti. Nel loro regno del terrore cominciarono a instaurare una visione rigidissima della Sharia, anomala per un Paese come la Somalia, musulmano ma storicamente estraneo all’estremismo. Lapidazioni contro le adultere, amputazioni per i ladri, separazione dei sessi. E per i giovani niente tv, musica, sport.
Da allora, i dissidi tra le diverse anime del movimento, e soprattutto l’efficace offensiva del Kenya nel sud del Paese, nel 2012, hanno ridimensionato un’organizzazione che comunque ha sempre fatto degli jihadisti stranieri la spina dorsale della sua leadership.
In verità la loro rete organizzativa non è stata né smantellata del tutto, né ridotta a piccole cellule sparse di miliziani, come avevano ingenuamente annunciato alcuni nuovi politici al potere a Mogadiscio, euforici dopo che il leader degli al-Shabaab, Moktar Ali Zubeyr, noto come Ahmed Godane, venne ucciso lo scorso settembre in un raid americano. Oggi lo scenario è cambiato. A favore degli Shabaab. Il vicino Yemen, dilaniato da una guerra civile e sprofondato nel caos, ha agevolato la controffensiva degli estremisti somali.
Che non sono più un’organizzazione nazionalistica. Piuttosto un gruppo jihadista internazionale che preferisce - per ora - concentrare la sua azione sul Corno d’Africa e colpire chi minaccia direttamente i suoi interessi territoriali: vale a dire il Governo di Mogadiscio, l’Etiopia,il Kenya e l’Uganda. In un conflitto asimmetrico contro eserciti regolari, più potenti e addestrati, gli estremisti somali da tempo hanno cambiato stretegia, puntando sulla guerriglia. La lista dei loro attentati è così lunga che si possono riportare solo alcuni dei più recenti. In Kenya tutti ricordano quel tragico pomeriggio di sabato, 21 settembre 2013, quando un commando di Shabaab irruppe nel centro commerciale n Westgate di Nairobi, uccidendo 67 persone, tra cui 13 stranieri.
I somali ricordano altrettanto bene - anche perché risale a meno di due mesi fa - l’attacco contro il Central Hotel di Mogadiscio, l’albergo che ospita molti rappresentanti del governo e del parlamento somalo, dove un commando aveva ucciso oltre 20 persone tra cui alcuni deputati. In Kenya sono stati presi di mira soprattutto i cristiani. Come nella strage compiuta lo scorso novembre, quando i miliziani somali fermarono vicino al confine con la Somalia un autobus diretto a Nairobi che trasportava 60 persone, dando poi il via alla loro spietata e ormai collaudata selezione: le persone che ritenevano musulmane venivano risparmiate. I non musulmani falciati con raffiche sul posto.
Circa sei mesi prima, il 16 giugno 2014, il Kenya era stato scosso da un altro brutale attentato. In quell’occasione, i miliziani somali avevano aperto il fuoco contro la gente accorsa in massa per vedere una partita dei mondiali di calcio in due alberghi della città costiera di Mpekotoni. Quasi 50 persone, quasi tutti civili inermi, persero la vita.
Ridimensionare la minaccia degli Shabaab somali al solo Corno d’Africa,o poco più a sud, potrebbe essere,nel medio termine, un calcolo miope. Anche per l’Europa.
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