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La svolta inevitabile e l'esempio spagnolo

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tagli e tasse

La svolta inevitabile e l'esempio spagnolo

Non sarà comunque una passeggiata per il Governo Renzi - allergico al metodo della mediazione concertativa - l'approvazione del Documento di economia e finanza (Def) che segna la prima tappa verso il traguardo della nuova Legge di stabilità.
In vista dell'esame parlamentare e della trasmissione delle carte alla Commissione Ue (entro il 30 aprile), ci sono numeri che ballano e tensioni che vanno gestite.

Il presidente dei Comuni italiani, Piero Fassino, ha detto per esempio che i Comuni i sacrifici li hanno già fatti e che «ora tocca alle altre amministrazioni pubbliche». Sullo sfondo l'idea governativa della “local tax” per unificare Imu e Tasi (un riordino che dovrebbe portare anche ad abbassare il prelievo) e il nodo delle risorse. E rimettere mano alla tassazione sulla casa prospetta per definizione un viaggio denso di incognite e pericoli.
Prudentemente, il Governo fisserà allo 0,7-0,8% la crescita del Prodotto interno lordo (Pil) nel 2015. In realtà si aspetta di più, e lavora per una manovra complessiva di circa 20 miliardi (tra tagli alla spesa, 10 miliardi, riduzione degli oneri per interessi, un margine di deficit superiore a quello programmato dell'1,8%, utilizzo della flessibilità europea come contropartita delle riforme e maggiore crescita del Pil). Una tela tutta da tessere che assieme ad eventi come l'Expo e il Giubileo dovrebbe poi riportare l'economia italiana a crescere stabilmente tra l'1,5% ed il 2%.
C'è da augurarselo, ma intanto bisogna fare i conti con quello che c'è e che non c'è. Il premier Renzi considera il +0,7% del Pil una percentuale che in fondo “non conta”, un «numero che interessa gli addetti ai lavori» (intervista al Messaggero, 5 aprile 2015). Però è un fatto che quel numero rispecchia esattamente lo storico ritardo dell'Italia in termini di crescita da vent'anni a questa parte. E che i primi “addetti ai lavori” sono i mercati, le agenzie di rating, la Commissione europea (nella cui intricata governance gli “zerovirgola” possono avere un peso decisivo, e Renzi fa bene a metterla in discussione), la Bce, il Fondo monetario, l'Ocse.
Invertire la rotta, sia chiaro, non è facile.

Il Governo assicura che le tasse non aumenteranno e che le due mine pronte a deflagrare nel 2016 (17 miliardi) e nel 2017 (22 miliardi) saranno disinnescate. Parliamo delle “clausole di salvaguardia”, cioè gli aumenti dell'Iva e delle accise già iscritti a bilancio per un totale di 39 miliardi se non si procederà a tagli equivalenti. È una montagna altissima da scalare e già la cancellazione per il 2016 (senza giochi di prestigio e aumenti di altre tasse) sarebbe una buona notizia.
Il problema è che le tasse non devono aumentare ma, soprattutto, scendere. Non solo dal 43,5% registrato dall'Istat nel 2014 (la cifra che conta anche in Europa) ma anche da quel livello (pressione fiscale “effettiva” al 43,1% se la manovra degli 80 euro non viene calcolata come voce di spesa ma come taglio delle tasse) su cui il Governo continua a insistere. Invertire la rotta significa appunto abbassare i livelli di tassazione, a partire da quella che grava sul lavoro. Il taglio dell'Irap si sta rivelando una mossa giusta e una strada da battere con la maggiore determinazione possibile.
Tempo prezioso è stato perduto sul terreno della “spending review”, che necessita di tempi non brevissimi per dare i risultati attesi. Se non siamo all'anno zero, poco ci manca. Ora la svolta (vera) su tasse e spese non ha alternative. La Spagna continua ad alzare le stime di crescita per il 2015: siamo ormai a +2,8% e il confronto con l'Italia è impietoso.

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