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Tutti al Circo Massimo, 2.000 anni dopo

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TALK SHOW, VERITÀ E POLITICA IN TV

Tutti al Circo Massimo, 2.000 anni dopo

Pensavo che lo stalinismo fosse finito. Morto e sepolto. Forse lo è, nel senso che l’Unione Sovietica non c’è più, e fortunatamente non ci sono più adoratori di Stalin (o se ci sono non ce lo vengono a dire). Però i comportamenti stalinisti sopravvivono, eccome. Il più tipico è prendere una persona (meglio se assente, così non si può difendere) e accusarla di qualche misfatto, inventando di sana pianta i crimini di cui si sarebbe macchiata. Spudoratamente e senza contraddittorio.

È successo a me, martedì sera a Ballarò. Massimo Giannini aveva appena mandato in onda una mia intervista (registrata il giorno prima), in cui tra le altre cose dicevo che nel 2015, probabilmente, ci sarebbe stata una “bolla occupazionale”, e che la bolla rischiava di sgonfiarsi nel 2016.
E che cosa risponde la politica di turno (Simona Bonafé), invitata a commentare l’ipotesi di un aumento artificiale dell'occupazione nel 2015?
Ben poco, nel merito. Però sfodera uno dei più vieti (e vili) argomenti della retorica, il cosiddetto argumentum ad personam, che consiste nell’attaccare la persona anziché discutere le sue affermazioni. E che cosa tira fuori? Che Ricolfi è lo stesso che nel 2006 diceva che Berlusconi aveva onorato “tutti i punti” del Contratto con gli italiani. Doppia squalifica, dunque: vieni accusato di aver fatto delle valutazioni palesemente errate, e in più l’ascoltatore è indotto a pensare che le hai fatte perché sei berlusconiano (che non è un insulto in generale, ma lo è agli occhi di tanta sinistra; dimenticavo: Bonafé è del Pd).

Qual è il problema? Il problema è che, prima delle elezioni del 2006, poi vinte da Prodi, un libro sul “Contratto con gli italiani” io effettivamente l’avevo pubblicato ma in quel libro sostenevo l’esatto contrario, e cioè che Berlusconi NON aveva affatto rispettato il contratto, e che avrebbe quindi dovuto mantenere l’impegno a NON presentarsi alle elezioni.
A scanso di equivoci riporto in modo testuale le conclusioni del mio libro: «La nostra analisi mostra (…) che Berlusconi ha fatto molto di meno di quanto aveva promesso, e che l’impegno di raggiungere in questa legislatura almeno 4 traguardi su 5 non potrà in alcun modo essere mantenuto. Se almeno in questo vorrà rispettare il contratto, Berlusconi non può ripresentare la propria canditura alle elezioni politiche del 2006”. (…). La pretesa di aver rispettato tutti gli impegni (…) è un’offesa alla verità ma anche all’intelligenza degli elettori». (Tempo scaduto. Il “Contratto con gli italiani” alla prova dei fatti, Il Mulino 2006).
La mia colpa, allora, fu solo di aver riconosciuto che quel che era stato fatto non era pochissimo, e che almeno 1 dei 5 impegni era stato pienamente mantenuto. Che ci volete fare? È il mio mestiere (insegno Analisi dei dati) ricostruire, attraverso i dati e le statistiche, come sono andate le cose.

Perché racconto questa storia? Perché ho ascoltato tutta la trasmissione, e ho visto anche di peggio di quel che è stato riservato a me. Niente di nuovo, si intende. Ma abbastanza da chiedersi se non sia venuto il momento di dire basta.
È mai possibile che ai politici sia consentito non solo denigrare l’interlocutore assente (è il mio caso), ma anche di non rispondere alle domande che vengono loro rivolte (è quel che è successo a Oscar Giannino)? Perché ai politici è permesso interrompere continuamente l’interlocutore, impedendogli di esporre il suo pensiero? Perché delle questioni fattuali si parla come se si stesse discutendo di opinioni, per cui se io dico che il Pil è aumentato e tu dici che è diminuito sono affari nostri, manifestazioni della nostra libertà di pensiero? Perché di fronte a statistiche e numeri sgraditi qualsiasi politico, in qualsiasi programma televisivo, sa benissimo che gli basta dire “non è vero” per chiudere la questione? Possibile che l’arte della politica, e l’unica vera competenza che i politici mandati in tv riescono a esibire, sia quella di girare la frittata, eludendo le domande, cambiando argomento, squalificando l’interlocutore?
Insomma, questo articolo nasce da una cosa che è capitata a me due sere fa, e potevo benissimo lasciar perdere. Però è troppo tempo che mi chiedo perché nessuno interviene, perché tutti accettiamo questo modo barbaro, e ben poco professionale, di fare informazione. Forse è un aspetto del carattere nazionale, o un retaggio dei costumi dell’antica Roma. Ai nostri avi piaceva vedere scorrere il sangue degli schiavi divorati dai leoni dentro il circo Massimo, a noi moderni piace vedere politici e giornalisti azzannarsi negli innumerevoli circhi allestiti quotidianamente dalle tv, in dibattiti in cui manca del tutto il rispetto fra le persone e l’amore per la verità.

È la televisione, bellezza! sento ripetere. E tuttavia, visto che si parla di riforma della Rai, lasciatemi anche parlare del mio sogno. Mi piacerebbe un programma in cui, come in una partita di calcio, c’è un arbitro che può usare il cartellino giallo al primo intervento a gamba tesa, ed espelle chi non lascia parlare gli altri, anziché bearsi delle zuffe in campo. Mi piacerebbe un programma in cui il conduttore conosce i dossier su cui fa litigare gli ospiti, e quando vengono dette cose false se ne accorge e le fa notare. Mi piacerebbe un programma in cui si è tenuti a rispondere alle domande, senza cambiare argomento. Mi piacerebbe un programma in cui, miracolo, accade persino che qualcuno cambi idea, convinto dagli argomenti di qualcun altro. Mi piacerebbe un programma in cui i politici avessero timore di andare, perché non possono usare le infinite armi improprie della comunicazione, che oggi, nel far West della tv, hanno invece libera circolazione, come fucili e pistole in America.
Soprattutto, mi piacerebbe che la nuova classe dirigente che sta prendendo le redini del Paese fosse, almeno in questo, un po’ migliore di quella che l’ha preceduta, anziché semplicemente più sfrontata, e non di rado più ignorante. Ma forse devo rassegnarmi all’amara riflessione che, poco prima di essere ucciso, Pier Paolo Pasolini affidava ai suoi Scritti Corsari: «Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia».

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