Commenti

Chi bluffa tra Atene e l'Europa

  • Abbonati
  • Accedi
Scenari

Chi bluffa tra Atene e l'Europa

Non deve sorprendere che Yannis Varoufakis sia corso a Washington a pagare tempestivamente il Fondo monetario, dopo averlo dipinto come il diavolo. Nel contratto tra la Grecia e il Fondo di stabilità europeo (Efsf) è indicato (art. 9, par. 1) che se l'Fmi non fosse stato pagato l'Efsf avrebbe avuto il diritto di forzare un default della Grecia. Ipotesi del tutto irrealistica, ma nel clima conflittuale della politica ateniese qualcuno era pronto a far leva sul codice penale e denunciare i responsabili di governo per tradimento nei confronti dello Stato. È solo un esempio di quanto sia complesso il negoziato tra la Grecia e i partner. È una partita di poker, durante un braccio di ferro, complicato da una roulette russa.

La partita di poker si gioca sulla liquidità disponibile ad Atene. I tedeschi per esempio, ricordando un identico episodio del 2012, sono convinti che Varoufakis stia bluffando e che il governo, controllando più o meno metà del Pil greco, sia in grado di reperire liquidità da agenzie e società pubbliche o dalle amministrazioni locali.

Con la scusa di accentrare la tesoreria, dalla regione Attica sono stati trasferiti 80 milioni, altri fondi sono dirottati dall'agenzia del lavoro e dai fondi europei per l'agricoltura. Le banche greche, infine, influenzate dalla politica, sottoscrivono i buoni del Tesoro nonostante le loro difficoltà di finanziamento e il drammatico calo dei depositi.
Nel braccio di ferro anche l'Europa bluffa. L'ipotesi che il denaro facile della Bce metta al riparo il resto dell'eurozona dai problemi greci ha poco senso: il 77% del debito greco è in mano a istituzioni europee o internazionali, nessuno può sopportare i costi di un fallimento di Atene. Ma mentre Bruxelles tira la fune, l'economia greca è ritornata in recessione. A grandi linee, avrebbe bisogno di crescere dello 0,5-1% solo per stabilizzare un debito che è al 173,5% del Pil. Prima o poi, il calo dei depositi impedirà alle banche di rifinanziare i titoli in scadenza. Quando ci si accorgerà che la recessione renderà ancora più insopportabile il debito, la fuga dei depositi si aggraverà. La Bce sembra averlo capito e ieri ha dato un po' di margine di respiro alle banche.

Infine la roulette russa: quando un paese ha un debito estero così preponderante, è inevitabile che il problema diventi geo-politico. Ma lo sconcertante gioco di sponda di Tsipras con Putin apre scenari davvero inquietanti. È dal 1947 che l'Occidente tiene Atene lontana da Mosca, perfino prendendo le parti della vergognosa dittatura militare tra il 1967 e il 1974. Tsipras parla ora di scelta autonoma di politica estera di un paese pienamente sovrano, ma un paese carico di debito estero può tuttalpiù cercare un sovrano estero invece di un altro. Perfino i cinesi hanno posto condizioni precise per investire nel porto del Pireo e chiedono di verificarle concretamente. Lo stesso hanno fatto gli investitori di Abu Dhabi e di Teheran (non sto scherzando) contattati invano dal governo di Tsipras.

Non possiamo andare avanti in questo modo. Bisogna sedersi attorno a un tavolo. La lista delle riforme presentata da Atene è imbarazzante. La quota di occupati nell'economia greca è al 38% contro il 63% della Germania, la spesa previdenziale pubblica è al 17,3% del pil contro il 12,2% in Germania. Ma nelle 26 pagine spedite (questa volta non solo in greco) a Bruxelles, Atene ha incluso 24 misure di aumento delle tasse, nessun taglio di spese, reintegro delle pensioni e dei burocrati e nessun chiaro intervento su mercati dei prodotti che sono degni di un'economia pianificata.

Il paradosso è che con un'economia inefficiente anche lo scenario di uscita dall'euro non porterebbe nulla. In un certo senso la svalutazione (anche se “interna”) c'è già stata: attraverso anni di recessione il costo del lavoro greco è oggi più competitivo che nel '99, mentre era completamente fuori linea nel 2008. Tuttavia ciò non ha portato la bilancia con l'estero in attivo. I prezzi all'export aumentano più del dovuto senza trainare il resto dell'economia (nel linguaggio tecnico, non ci sono le condizioni Marshall-Lerner). La struttura produttiva – turismo e shipping esclusi – non è adatta a una moderna economia europea. Uscendo dall'Ue – unico modo per lasciare l'euro - la Grecia perderebbe i fondi di coesione, quelli strutturali e quelli per l'agricoltura. Senza gli annuali trasferimenti europei, i greci dovrebbero sopportare ristrettezze ancora più penose.

La retorica nazionalista di Atene è insopportabile, ma i partner devono essere credibili nell'incentivare la trasformazione dell'economia greca. La lista delle riforme deve essere rivista insieme avendo come obiettivo la crescita dell'economia attraverso il buon utilizzo delle risorse europee. Dopo bisognerà ragionare sul debito greco. Una decisione presa dall'Eurogruppo a fine 2012 prevedeva una facilitazione dei termini di credito a fronte di un miglioramento del surplus primario. Anche se i tassi d'interesse che la Grecia pagherà nel 2015 saranno pari a solo il 2% del pil (meno di metà del Portogallo) ci sono ulteriori margini: lo spread sull'Euribor che grava sulla Greek Loan Facility può essere azzerato e la scadenza dei prestiti va allungata di altri dieci anni. Secondo la Banca di Grecia, questi provvedimenti farebbero scendere il Net Present Value del debito del 17%. Il debito netto scenderebbe al livello del debito italiano. Ma questa è tutta un'altra storia...

© Riproduzione riservata