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La solitudine dei magistrati

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Italia

La solitudine dei magistrati

I colpi contro il giudice Fernando Ciampi raccontano anche un'altra storia. Una storia di solitudine qual è quella che circonda la magistratura ormai da tempo e che sta scavando un baratro tra i cittadini e la giustizia. Solitudine istituzionale, professionale e umana, frutto della lenta ma progressiva delegittimazione a opera di una politica che, per questa via, pensa di affermare la propria primazia e di recuperare la credibilità perduta (non solo nelle aule giudiziarie), senza rendersi conto delle ricadute devastanti sulla tenuta democratica del Paese.

La fiducia nella giustizia, a differenza del consenso popolare, è fondamentale per la crescita, civile, economica e morale, di una comunità. Perciò chi ha compiti di responsabilità politica e istituzionale ha il dovere di creare le condizioni affinché questa fiducia attecchisca e metta radici, sia garantendo un servizio efficiente e di qualità sia declinando il rispetto per chi amministra la giustizia. Il giudice dovrebbe essere percepito per ciò che ne connota la funzione, ovvero la tutela dei diritti di tutti, come singoli e come comunità. Una funzione di garanzia, insomma. Ma la percezione diffusa, ormai, è diversa. E non si possono chiudere gli occhi di fronte a questa tragedia istituzionale.

Il ventennio berlusconiano ha lasciato strascichi pesanti ma al ricambio politico non è seguito un ricambio anche della sensibilità istituzionale. Se all'epoca l'argine è stato fragile, adesso gli argini sono caduti di fronte all'insofferenza, alla diffidenza e persino all'irrisione, divenute pane quotidiano servito alla mensa dei giudici. Allora i magistrati erano «politicizzati», «persecutori», «antropologicamente diversi», adesso sono «fannulloni» e «irresponsabili».

Così sono stati additati in occasione, per esempio, del taglio delle ferie e della riforma della responsabilità civile, fomentando un sentimento di estraneità se non, addirittura, di aggressività, rivalsa, vendetta. Quella che ieri ha armato la mano di Claudio Giardiello. Un matto, un delinquente, un assassino, certo. Ma forse anche figlio di una stagione di “solitudini”, da cui bisogna uscire al più presto.

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