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Le mani tese di Obama, da Cuba all'Iran

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PANAMA

Le mani tese di Obama, da Cuba all'Iran

Un incontro “ravvicinato” con Raul Castro oggi a Panama, il primo “organizzato” e non casuale fra un leader americano e un leader cubano; la chiusura di un ostracismo pluritrentennale con L'Avana, depennabile dalla lista dei Paesi “sponsor” del terrorismo. Una visita omaggio e senza preavviso al museo di Bob Marley a Kingstontown, in Giamaica. Barack Obama sta facendo storia. E non parliamo qui solo di “storia” ai Caraibi. Obama riallinea la percezione degli Stati Uniti in tutto il Sud America.
E ha organizzato il nuovo corso in modo spettacolare, attorno al vertice delle Americhe, che si chiuderà oggi a Panama City, con 35 Paesi latino-americani testimoni di una stretta di mano liberatoria per tutti.

Non c'è casualità nella politica della mano tesa di Obama, l'apertura a Cuba, parte integrante del tessuto culturale latino americano, ha portato un volto nuovo dell'America ed è stata premiata da folle in adorazione, da «cool» Rasta Men jamaicani scomposti per stringergli la mano. Il risultato più immediato? Ha spuntato gli attacchi di Nicolas Maduro, il presidente del Venezuela che a Panama ha attaccato Obama e l'America, il suo imperialismo e le sue finte promesse. Maduro cercava la doppietta di quel che riuscì al suo predecessore Chavez al vertice del Mar della Plata in Argentina nel 2005. Se Chavez scatenava la protesta attaccando George W. Bush con un comizio in uno stadio, in diretta per tutto il Sud America, Maduro appare superato dai tempi. Cuba, il vessillo da difendere, è ormai in dialogo diretto con l'America.

Il segretario di Stato John Kerry ha avuto un incontro bilaterale con il ministro degli Esteri cubano Bruno Rodrigueza proprio a Panama. La notizia che ha fatto il giro dei siti internet sudamericani era che si trattava del primo incontro a quel livello in oltre 50 anni (l'ultimo incontro ufficiale tra presidenti fu tra Eisenhower e Batista nel 1956, proprio a Panama, mentre furono “casuali” le strette di mano tra Clinton e Fidel nel 2000 all'Onu, e tra Obama e Raul nel 2013 ai funerali di Mandela).
Poi in dirittura d'arrivo l'atteso annuncio per la cancellazione di Cuba dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo. Era ora in effetti, dopo quel che vediamo in materia di terrorismo, Cuba, L'Avana e il castrismo appaiono lontani anni luce dall'idea di presentere una minaccia diretta o indiretta per gli Stati Uniti.

Eppure Obama deve confrontarsi coi critici a casa. La sua politica della “mano tesa” non ha sempre portato ai risultati voluti. Quando ha provato a farla con Vladimir Putin, Mosca ha letto nel gesto una dimostrazione di debolezza di cui approfittare e ha fatto quello che ha fatto. Idem in Cina, soprattutto nei primi anni. Ora Obama cerca di chiudere delle pagine di storia cinquantennali e quarantennali, la prima con Cuba appunto la seconda con l'Iran. I due casi sono completamente diversi ovviamente, per dimensioni, per “pericolo”, vicinanza geografica e culturale, per la presenza di qualche milione di cubani americani nel territorio statunitense. Ma i critici soprattutto fra i repubblicani non mancano di sottolineare la similitudine in quelle che appaiono “concessioni” erogate da Obama senza che gli Stati Uniti abbiano ricevuto una adeguata controparte in cambio. Su Cuba, ad esempio, non vi sono stati impegni per un cambiamento degli assetti istituzionali, per un'apertura alla democrazia e alla libertà di stampa e di espressione, per il riconoscimento dei diritti dei cubani americani scappati dopo la rivoluzione castrista. Per le aperture all'Iran sul nucleare, la critica più articolata giunge da due ex segretari di Stato di peso, Henry Kissinger e George Shultz.

In un articolo che hanno scritto insieme sul Wall Street Journal, affermano che Obama ha ceduto potere negoziale politico senza ottenere in cambio da Teheran concessioni sul fronte del terrorismo (e gli iraniani lo sponsorizzano eccome), non hanno neppure impostato un percorso per il riconoscimento dello stato di Israele e la rinuncia alla sua distruzione. Il rischio dicono i due è che l'Iran si rafforzi economicamente in dieci anni di concessioni sul nucleare per poi costruirsi lo stesso la bomba alla scadenza dell'accordo. Ma la similitudine finisce proprio alle conseguenze. Se è vero che sul piano politico non vi sono stati impegni a concessioni né da una parte né dall'altra, Cuba rappresenta una realtà del tutto diversa. I cubano-americani non chiedono più di rientrare a casa. E un avvicinamento alla grande isola caraibica, che partecipa per la prima volta dal 1994 a un summit delle Americhe, offre più opportunità che rischi, sul piano economico, politico e dell'immagine. Nessuno dimenticherà di questo viaggio la stretta di mano di Obama con Castro o la sua definizione della serata al museo dedicato a Bob Marley: «È stata una delle serate più belle nella mia presidenza».

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