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Come rinasceranno le centrali Enel

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Scenari

Come rinasceranno le centrali Enel

Perché non trasformare l’ormai ansimante cattedrale in ferro-cemento, destinata alla ruggine e all’oblio, in una nuova area commerciale integrata? Oppure in una fabbrica ad alto contenuto tecnologico. O anche in un potentissimo “data center” come quelli che comunque dovranno nascere anche da noi. O magari in una di quelle aree integrate di servizi pubblici telematici di cui abbiamo tanto bisogno. E perché non pensare di piazzare proprio lì una nuova industria automobilistica.

O anche una palestra tecnologica dove sperimentare un polo per la tutela ambientale gestendo il ciclo dei rifiuti per produrre nuova energia con le migliori tecnologie disponibili. Il bello è che non si tratta né di simulazioni né di fantasie, ma di progetti. Segreti, ma stanno pian piano sbocciando. Dalle ceneri, fortunatamente virtuali, di qualcosa che c’é.

Ci sono 23 centrali elettriche ansimanti, messe alle strette dal mercato e dalla tecnologia, comunque destinate a rimanere ferraglia. Perché buttarle? Perché non «rivalorizzarle», azzarda Carlo Tamburi, il capo delle attività italiane dell’Enel, che ha sul groppone un buon numero di quelle centrali (si veda Il Sole 24 Ore del 23 ottobre scorso) che il mercato non fa funzionare più, un po’ a causa della congiuntura che deprime i consumi ma molto per colpa di un sistema elettrico che non ha saputo correttamente di calibrarsi negli anni rispetto alle suggestioni della liberalizzazione e alla prorompente avanzata delle energie rinnovabili.

Nuovo scenario
In Italia abbiamo ben 130 gigawatt teorici di generazione elettrica su una richiesta di picco che supera di poco i 50 GW e che normalmente si ferma a 40. L’Enel ha fatto i suoi conti della crisi. Ne sono venute fuori appunto 23 centrali per una capacità totale di circa 13 gigawatt, che non producono più o producono con il contagocce. Nove sono state già dismesse, 14 sono in dismissione. Magari continueranno a produrre a ritmo ridotto per i prossimi cinque anni, fino alla scadenza delle autorizzazioni che comunque non saranno rinnovate.

«Ma da un evidente fenomeno di crisi potrebbero nascere non poche opportunità, per lo sviluppo locale e per l’occupazione». Tamburi ci crede. Anche perché qualche piccola sorpresa positiva c’è già. Viene dai primi riscontri del piano predisposto dall’Enel, che sarà ufficializzato nei prossimi giorni. Parola d’ordine: rivalorizzare, appunto. Il metodo: un mix di verifiche e sondaggi con le istituzioni, con le imprese, con le comunità locali. Adottando il modello del dibattito pubblico alla francese, con la pubblicazione della documentazione sui lavori in corso in un portale Internet già online (www.futur-e.it).

I criteri guida? Nella documentazione riservata predisposta dell’Enel si legge che è «possibile suddividere di 23 impianti in tre grandi gruppi». Il primo comprende «quelle centrali che potrebbero continuare a produrre energia elettrica se venissero riconvertite a un’altra tecnologia, ad esempio con le fonti rinnovabili. Un esempio è quello di Porto Tolle, sul delta del Po, già candidata (operazione fallita) alla riconversione dall’olio combustibile al carbone “pulito”. Ora si pensa di trasformarla in «una centrale a biomasse di taglia media». Il secondo gruppo «è quello di impianti, tra cui Genova, Bari e Livorno, che non sono più pensabili come siti di generazione elettrica, perché inglobati nel tessuto urbano». Possono essere «riprogettate per essere destinate ad altri scopi, industriali e non». L’ultimo gruppo comprende invece «quegli impianti che, pur non essendo ubicati all’interno di città, non hanno molte possibilità di continuare ad essere siti destinati alla generazione elettrica. Per questi intendiamo, coinvolgendo attivamente le comunità e istituzioni locali, far partire concorsi di idee, per valutare altri modi per creare occupazione al di là della produzione di elettricità».

Le promesse
A rendere meno drammatico il problema dell’occupazione che potrebbe derivare dalla chiusura delle strutture è, paradossalmente, il fatto che la crisi si trascina già da anni e che le maestranze sono state già progressivamente ridotte. Oggi nelle 23 centrali destinate alla chiusura definitiva lavorano circa 700 persone e non è difficile ipotizzare che se la “rivalorizzazione” si mostrerà effettivamente tale il saldo netto, tra occupazione diretta e indotto, potrebbe essere positivo. E comunque l’Enel si impegna formalmente a garantire che «nessuno - dice Tamburi - perderà il lavoro. Qualcuno nel frattempo andrà in pensione e per molte posizioni si potrà trovare una soluzione di ricollocazione all’interno del nostro gruppo». La sperimentazione del metodo è già sul campo. Prende forma in queste ore per una delle centrali moriture, ad Alessandria. Con un primo tavolo con istituzioni e associazioni. Ma intanto, per le soluzioni pratiche, lungo la penisola c’è chi si fa avanti.

Montalto fa gola
Pendiamo il caso emblematico della mega centrale di Montalto di Castro, nata negli anni 70 per essere nucleare, riconvertita in corso d’opera in policombustibile, ormai praticamente ferma da anni. Una società automobilistica cinese sta scrutando strutture e opportunità per assemblare le sue utilitarie per tutta Europa. Qualcuno si è fatto avanti in maniera super-riservata per esplorare l’ipotesi di un gigantesco data center nazionale (Google? Amazon?). Un pool di imprese sta cercando di aggregarsi per verificare l’ipotesi di trasformare il sito, che si ritroverà piazzato proprio lungo la nuova autostrada tirrenica che sta nascendo sul tracciato dell’Aurelia, nel più grande centro commerciale integrato del nostro Paese.

Ma per Montalto si parla anche di un’altra opportunità, magari da affiancare alle altre: la sperimentazione di un nuovo ciclo di trattamento dei rifiuti frutto dell’evoluzione dello schema della termovalorizzazione.

Rifiuti e sinergie
Tema delicatissimo, come si sa, quello del riciclo energetico dei rifiuti. Che si scontra con le perplessità delle popolazioni e delle amministrazioni locali. Ma che a Montalto potrebbe forse avere un suo terreno di confronto. Se ne parla, con tutta la necessaria prudenza, forti di qualche caso di indubbio successo anche nei rapporti con le comunità locali, come quelle incamerato dall’Enel a Fusina, nel Veneto, dove l’impianto allestito negli scorsi anni tratta 70mila tonnellate di combustibile ricavato dai rifiuti (Cdr) rispettando i più rigorosi vincoli di emissione e con il via libera delle comunità locali.

«In ogni caso, sia per Montalto che per ogni altro sito dove sono presenti le centrali da dismettere, l’Enel rimarrà fuori da ogni attività frutto della riconversione. Metteremo semmai a disposizione tutte le nostre competenze per l’operazione di rivalorizzazione e per tutte le attività che dovessero riguardare direttamente il nostro perimetro di azione» chiarisce Tamburi. Nel caso dell’energia prodotta dai rifiuti o dalle biomasse l’Enel potrebbe dunque continuare ad agire solo nella parte finale, quella della generazione.