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Cantore del Sudamerica, del calcio, dell’uomo

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Addio a Eduardo Galeano (1940-2015)

Cantore del Sudamerica, del calcio, dell’uomo

Le vene aperte dell’America Latina: un’immagine potente e iconica, difficile da estirpare, di immediata presa, di forte rivendicazione sociale e morale. Le vene aperte dell’Amrica latina sono tante, ma, soprattutto, sono quelle che individuò, nel lontano 1971, un giornalista e scrittore trentenne che avrebbe fatto parlare molto di sè: Eduardo Galeano, irriducibile della letteratura latinoamericana, morto ieri nel suo natìo Uruguay all’età di 74 anni.

Quel libro, dal titolo così pregnante, lo fece diventare un autore da bestseller internazionale e una figura di riferimento dell’intellettualità di sinistra latinoamericana per oltre quaranta anni. E non è un caso se fu proprio quello il libro che Chavez volle regalare a Obama nel 2009 con la per niente velata ricostruzione di un saccheggio, quello delle ricchezze del subcontinente da parte delle potenze coloniali. Eppure lo stesso Galeano – che, da ottimo scrittore sapeva che non stava (solo) nelle idee la forza di un autore, bensì nella sua specifica capacità di manipolazione della lingua – quel libro lo aveva saputo calibrare criticamente. L’anno scorso dichiarava: «Non mi pento di averlo scritto, ma non lo rileggerei: volevo scrivere un saggio di economia politica e non avevo la formazione necessaria». Considerava «superata una certa prosa di sinistra, pesantissima» e non aveva torto. I suoi libri migliori, che resteranno non sono quelli dedicati ai reportage, o la «Trilogia del fuoco». Saranno quelle storie sulle miserie e gli splendori del calcio che era (stata) la sua passione e per molti anni il suo desiderio segreto. Come il mitico Osvaldo Soriano (probabilmente ancora più bravo di lui, nel descrivere le profondità narrative di una partita di pallone), Galeano aveva il dono di indovinare dalle sbilenche traiettorie di un’azione o dai movimenti di un campione o di un ragazzino delle verità superiori sugli uomini, i loro destini, le loro bassezze, le loro glorie. Aveva, insomma, l’occhio dello scrittore. E infatti pensava che quello fosse il ruolo di un autore: «aiutare gli altri a vedere meglio». Con la sapiente e vigile potenza di un cannocchiale chiamato scrittura.

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