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Legittimazione politica entro l’Eurozona: quali scelte?

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RISPOSTA A FABBRINI

Legittimazione politica entro l’Eurozona: quali scelte?

Uno dei punti sollevati nel lucido articolo di Sergio Fabbrini del 12 aprile scorso mi sollecita ad un commento. Quando si afferma che l’Eurozona «difficilmente potrà essere un governo parlamentare», e questo per l’asimmetria tra Stati piccoli e Stati grossi, si rischia di dimenticare che l’asimmetria è corretta dal fatto che la Germania ha quindici volte i parlamentari europei di Malta. Negli Usa la California conta nella Camera dei Rappresentanti numeri ben superiori a quelli dell’Utah, anche se in Senato ogni Stato ha solo due senatori. In Europa ogni governo è presente con un suo esponente nei due Consigli europeo e dei ministri, con l’importante correzione, tuttavia, della doppia maggioranza dei voti e delle popolazioni, decisa a Lisbona, la quale peraltro non opera per le materie per le quali ancora si richiede l’unanimità. Altra cosa sarebbe proporre una più precisa proporzionalità tra popolazione ed eurodeputati, come chiede tra l’altro la Corte di Karlsruhe. Questo potrebbe essere fatto, così come va finalmente varata la legge elettorale comune prevista dai trattati.

La legittimazione, fondamentale entro l’Unione come pure entro l’Eurozona, è e deve restare doppia: sia dei Consigli che del Parlamento europeo. La creazione di una terza Camera per l’Eurozona, sostenuta tra gli altri da Thomas Piketty, delegittimerebbe irrimediabilmente il Parlamento europeo e l’elezione europea. Una Camera degli Stati in Europa esiste già, risiede nei due Consigli. Disconoscere il Parlamento europeo quale legittimo rappresentante dei cittadini dell’Unione sarebbe non solo contradittorio, ma molto pericoloso per il futuro dell’Unione.
I parlamenti nazionali dovrebbero intervenire entro l’Unione là dove sono in gioco risorse nazionali, oltre che per controllare sia le direttive europee che i propri rispettivi governi nelle loro scelte europee: come d'altronde essi stanno già facendo, specie in alcuni Paesi.

Quanto all’Eurozona, il vero problema è di decidere come deve operare il Parlamento europeo per le iniziative di un gruppo di Paesi, in particolare entro l’Eurozona, anche nell’ottica delle cooperazioni rafforzate e strutturate previste dai trattati. Qui non vedo in prospettiva una soluzione migliore di quella di adottare una doppia geometria istituzionale analoga a quella già prevista per i due Consigli, che in queste ipotesi si riuniscono plenariamente ma decidono con il voto dei soli ministri dei Paesi coinvolti. Adottando questa soluzione, nel Parlamento europeo si discuterebbe tutto in plenaria ma voterebbero i soli parlamentari europei dei paesi dell’Eurozona o della cooperazione rafforzata. Ciò dovrebbe valere anche per una futura, auspicabile fiscalità a livello europeo, destinata a ivestimenti su beni pubblici europei, della quale la tassa per le transazioni finanziarie e una futura carbon tax potrebbero costituire i primi tasselli.

Una corretta legittimazione politica non può che derivare dal potere di codecisione esercitato dai parlamentari europei di un’elezione diretta, distinta dalle elezioni nazionali che servono alle scelte nazionali e al controllo dei rispettivi governi nelle loro scelte europee. Cioè, ci vorrebbe comunque, accanto ai Consigli, la codecisione di un Parlamento europeo dell’Eurozona... Ma esso esiste già, se solo si adotta la geometria istituzionale qui suggerita.
Ovviamente il Consiglio europeo (votante beninteso a maggioranza, senza più potere di veto) manterrebbe i suoi alti poteri di orientamento politico e di governo, in simbiosi con la Commissione.
Troppo semplice? Non dovrebbe essere questa una buona ragione per rifiutare scelte innovative, ma coerenti rispetto a quanto si è costruito nel tempo con la grande cattedrale incompiuta dell’Unione europea.

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