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E in Italia raddoppia la presenza di banche

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STRATEGIE

E in Italia raddoppia la presenza di banche

Lasciamo stare, per il momento almeno, il deal dei giganti Pirelli e China Chemical. Lo shopping delle pmi italiane intermediato da banche cinesi attive tra Roma e Milano ha registrato un ultimo “colpo”: la MetaSystem di Reggio Emilia farà parte dello stesso gruppo Deren di Shenzhen che mesi fa aveva acquistato Plati, altra azienda tipica del made in Italy.

Meta System è solo l’ultimo capitolo di una fitta trama di negoziati dietro la quale c’è la cinese Icbc, sede in Galleria, a Milano, in procinto di raddoppiare, a brevissima scadenza, con una sede a Roma.

Ma Icbc non è l’unica in pista. «Stiamo cambiando la nostra strategia Go Global orientandoci, all’estero, verso i servizi per la piccole e medie imprese. Proprio come abbiamo iniziato a fare in Europa, Italia, e in Medio Oriente». Così parlò Tian Guoli, chairman della concorrente Bank of China, davanti alla platea del China business Forum dell’Apec, nello scorso mese di novembre. Il chiaro riferimento all’Italia (che Tian Guoli aveva appena visitato il mese precedente al seguito della delegazione del premier cinese Li Keqiang a Milano e Roma), aveva il chiaro segno di un messaggio per i competitor. Ci siamo anche noi. Ma era anche la dimostrazione della posizione strategica che l’Italia, il secondo Paese manifatturiero in Europa dopo la Germania, occupa per gli investimenti cinesi all’estero, facilitati ancor di più dalla debolezza dell’euro sullo yuan.

Ecco perché le banche cinesi stanno fioccando, aprendo sedi a raffica e, se possibile, raddoppiando la loro presenza sul territorio.

L’imminente apertura a Roma della rivale Icbc, la banca cinese prima al mondo per capitalizzazione di borsa (annunciata dal chairman al Sole 24 Ore in un’intervista) sta a dimostrarlo: l’obiettivo non è la clientela retail, ma lo shopping di pmi con valore aggiunto tecnologico.

Tutte in coda, quindi, a ricevere l’autorizzazione a operare dalla Banca d’Italia. Ma l’operatività e i margini del retail – conferma il dirigente di una banca cinese che chiede di mantenere l’anonimato – è minima. Le comunità cinesi immigrate non guardano certo a noi, alle banche cinesi, come a un canale privilegiato per fare affari. Anzi. Non sono loro la nostra clientela». In realtà lo scopo degli arrivi bancari cinesi sta nelle acquisizioni a raffica di medie e piccole imprese con alto valore aggiunto.

Ci sono, però, altri due versanti che possono contare, nel prossimo futuro, tra questi l’internazionalizzazione del renminbi al quale Bank of China con la Fondazione Italia Cina dedica un importante convegno a Roma, pur non essendo l’Italia sede di un hub per il clearing come Francoforte, Parigi, Londra. Dovrebbe e potrebbe agire di sponda.

Ma la vera e futura posta sono le infrastrutture. Qui l’Italia ha giocato per una volta (e con grande soddisfazione dello stesso ministro delle Finanze Gian Carlo Padoan) in anticipo candidandosi nel gruppo di testa per la fondazione della nuova Asian infrastructural investment Bank. Un gigante (si veda l’articolo a fianco) da 50 miliardi di dollari che si muoverà a 360 gradi e che ha bisogno di mettere bandierine su tutto il globo.

Se dopo le sedi di Bank of China e dopo il raddoppio di Icbc l’arrivo molto probabile di China construction bank e China development bank non dovrà meravigliare, anche loro si piazzano in vista per “catturare” possibili opere infrastrutturali. Come fare a non restarne fuori? Dovrebbero chiederselo, forse, anche le nostre banche che di fronte hanno anche la possibilità di sinergie tutte da sperimentare.

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