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L’amore per i fatti e per l’equilibrio

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GIORNALISMO

L’amore per i fatti e per l’equilibrio

Mario Pirani, giornalista, scrittore, economista, uomo di cultura, intellettuale da sempre attentissimo alla vita civile del suo Paese è morto ieri a Roma. I 90 anni li avrebbe compiuti nel prossimo agosto. Niente meglio del titolo del suo ultimo libro riassume la sua ricca e generosa avventura terrena: Poteva andarmi peggio. Mezzo secolo di ragionevoli illusioni. Ebreo, di famiglia borghese, da bambino faceva i bagni al Lido di Venezia. Come molti della sua generazione dovette fare i conti con le leggi razziali con le discriminazioni e le persecuzioni del nazifascismo. Ad un certo punto della sua vita, come molti, approdò al partito comunista e fu anche per un certo periodo funzionario di partito. Una scelta e un percorso che era già stato percorso da Giorgio Amendola e poi negli stessi anni di Pirani da Giorgio Napolitano. Successivamente dal partito Pirani approdò al giornalismo e fu nella redazione dell’«Unità». Fu uno di quei comunisti tra i quali i dubbi cominciarono ad affacciarsi nel 1956 quando i carri armati sovietici invasero l’Ungheria. L’abbandono del Pci e conseguentemente dell’Unità avvenne alla fine degli anni 60. Pirani fu anche dirigente dell’Eni di Enrico Mattei, e giornalista de «Il Giorno».

La sua vita fu, dopo l’uscita dal Pci, pressoché interamente dedicata al giornalismo. Fu vice direttore del «Globo», il cui direttore era Antonio Ghirelli, anche lui uscito dal Pci dopo i tormenti dell’Ungheria. Con la direzione Ghirelli-Pirani il «Globo» non era più soltanto il secondo giornale economico italiano dopo «Il sole 24 Ore». Era diventato un giornale molto attento alla politica e alla cultura italiana nella cui redazione si ritrovarono firme che continuarono a dare lustro al giornalismo italiano. Tra essi, oltre a Barbara Spinelli, Rosellina Balbi, Laura Lilli e altri che ritroveremo qualche anno dopo nella redazione di «Repubblica», chiamati dal fondatore Eugenio Scalfari.
E a «Repubblica» il giornalista Pirani diede il meglio di sè, non soltanto quando ne fu vicedirettore. Lasciò anche per un breve periodo il quotidiano, allora di piazza Indipendenza, per assumere la direzione dell’«Europeo». Al termine di quell’esperienza fu pressoché scontato e automatico il ritorno a «Repubblica», per la quale fino alla fine ha continuato a scrivere attenti commenti sulla politica, sull’economia e soprattutto sulle evoluzioni non sempre positive della società italiana.

Pirani è stato uno di quegli editorialisti, che è riuscito quasi sempre a tenere insieme l’acutezza e la chiarezza delle analisi con l’assoluta insofferenza verso ogni eccesso di racconto e di tono. Dote non comune in anni nei quali il giornalismo si divideva tra giustizialisti e garantisti, tra statalisti e liberisti senza se e senza ma. Insomma: mai cerchiobottista, mai ottenebrato dai furori della militanza e dell’ideologia, sempre attratto da un’equilibrata descrizione di fatti e protagonisti della vita pubblica.
Un ultimo significativo episodio. Nel 2013 un testo di Pirani fu sottoposto come traccia negli esami di italiano scritto per la maturità. Il tema riguardava «stato, mercato democrazia». Il testo di Pirani spiegava come, in una democrazia, non tutto dovesse essere Stato, ma neanche soltanto mercato, ma come a tutti i cittadini servisse un mercato con le regole di uno stato credibile da rispettare. Pare che, giustamente, Pirani fu molto compiaciuto di quella scelta. In fondo era un grande riconoscimento per un giornalista, un intellettuale che aveva svolto fino alla fine il suo lavoro, lontano da ogni eccesso e con il massimo possibile di rispetto dei fatti e senso dell’equilibrio. Non è cosa da poco.