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La governance della sostenibilità

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Scenari

La governance della sostenibilità

Il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) richiederà grandi investimenti in termini di nuove infrastrutture per l’acqua, l’energia e i trasporti, nuovi sistemi d’istruzione, una nuova sanità eccetera. Quando si parla di costruire il futuro, al centro vi sono sempre importanti investimenti in termini di persone, tecnologie, infrastrutture e capitale naturale. Investimenti indispensabili per raggiungere gli Sdg. Da dove verranno i fondi? E come si riuscirà a metterli in atto grazie a fnanziamenti efficaci? In ultima analisi, contribuiremo un po’ tutti, perché in quanto cittadini e consumatori dobbiamo pagare per acquistare i beni e i servizi che fanno parte della nostra vita.

E lo facciamo essenzialmente in due modi. Innanzitutto, partecipando in veste di consumatori e fornitori al mercato in cui l’interazione tra domanda e offerta dà vita all’attività economica e promuove gli investimenti. Gli imprenditori investono e costruiscono le fabbriche in vista dei profitti che ne trarranno. In secondo luogo, acquistiamo ciò di cui abbiamo bisogno pagando le tasse, così che i governi possano fornire i servizi pubblici: le strade, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, i servizi di polizia, i finanziamenti alla ricerca, che è alla base del cambiamento tecnologico. In quest’ottica, tutti noi contribuiremo allo sviluppo sostenibile in entrambi i modi: attraverso i mercati e attraverso le istituzioni politiche.

A mio parere lo sviluppo sostenibile è caratterizzato da quattro dimensioni perché le tre tradizionali – sviluppo economico, inclusione sociale e sostenibilità economica – hanno bisogno di essere supportate da un quarto elemento: una buona governance. Quest’ultima avrà un ruolo fondamentale per il successo o il fallimento degli Sdg ed è quindi doveroso far chiarezza sul termine. Governance vuol dire regole di comportamento, soprattutto nelle organizzazioni. Non si tratta solo di politica e di governi, ma anche delle principali organizzazioni che sono attori chiave dello sviluppo sostenibile, tra cui le aziende private. La buona governance riguarda tanto il settore pubblico che quello privato e, all’interno di quest’ultimo, soprattutto le multinazionali.

Chiaramente, visto che i governi e gli insiemi di regole per governare il mondo sono tanti e svariati, è impossibile imporre un unico set di norme per l’implementazione degli Sdg. Invece di direttive universali, si possono stabilire principi di governance condivisi tra pubblico e privato.

Innanzitutto la responsabilizzazione. Governi e aziende devono essere responsabili delle loro azioni. Le aziende lo sono già in parte di fronte ai mercati, ma lo devono essere anche davanti ai tribunali e dovrebbero esserlo anche rispetto all’opinione pubblica. Nei paesi democratici i governi sono responsabili di fronte ai loro cittadini, ma devono esserlo anche in quelli dove non si svolgono elezioni democratiche. Con questo non intendo un insieme specifco di regole elettorali, nonostante alcune siano migliori di altre, quanto piuttosto l’idea che i governi adottino degli obiettivi, ne siano responsabili, mettendo a punto le misure necessarie per raggiungerli, e comunichino i progressi fatti. Questo criterio dovrebbe valere per qualsiasi sistema politico.

Il precedente principio ne richiede un secondo, che pure trascende il tipo di governo o di azienda: la trasparenza. Come cittadini, come soggetti di un mercato e come esseri umani che vogliono uno sviluppo sostenibile possiamo ritenere governi e organizzazioni responsabili di azioni e comportamenti solo se ne siamo informati. In altre parole, dobbiamo far pressione affinché le nostre potenti istituzioni dicano no alle varie forme di segretezza, tra cui quella istituzionalizzata dai paradisi fscali, che permettono alle persone di nascondere il loro denaro e le loro attività, anche quando questi hanno un forte impatto negativo sugli obiettivi di porre fne alla povertà e di salvare il pianeta. Tutti i governi, qualunque sia il sistema politico, hanno il dovere di essere trasparenti.
Il terzo principio è la partecipazione, ovvero la capacità dei cittadini e degli stakeholder di partecipare al processo decisionale. Le opinioni al riguardo sono molteplici come pure i sistemi di partecipazione. Le elezioni ne sono un esempio, ma non devono essere l’unico. La capacità di partecipare con incontri pubblici, delibere e chiarimenti sui provvedimenti adottati è estremamente importante. Lo stesso devono fare le aziende coinvolgendo gli stakeholder negli ambiti e nelle modalità previste; quindi non solo gli azionisti ma anche i lavoratori, i fornitori e i consumatori. Una buona attività economica adotta sempre un approccio multistakeholder.

Un quarto aspetto della buona governance che ricade sotto la responsabilizzazione è il principio «chi inquina paga», in base al quale ognuno pulisce dove ha sporcato. Quando, in veste di consumatori o di membri di un’azienda, imponiamo ad altri costi che non si rispecchiano nei prezzi di mercato, come quando le aziende inquinano le acque o l’aria, tocca poi a noi sostenerli. Internalizzare le esternalità, dicono gli economisti intendendo che aziende e consumatori devono sopportare tutti i costi sociali derivanti dal loro modo di agire.

E qui entra in gioco la corporate responsibility. Per esempio, è «corretto» che un’azienda si trasferisca in un paese povero dove le leggi antinquinamento sono lasse e lo inquini, anche se tecnicamente non sta andando contro la legge? Secondo le opinioni più estreme, è dovere delle aziende inquinare se non è vietato dalla legge, per massimizzare i guadagni degli azionisti. A mio parere, è assolutamente sbagliato.

Dovremmo invece insistere affinché le aziende smettano di creare danni esterni (come l’inquinamento) anche se la legge glielo permette. Un’opinione che prende spunto dall’antico motto latino primum non nocere. Una buona governance innanzitutto non causa danni. Anche se la legge, per qualunque ragione, permette a un’azienda di scaricare costi sugli altri, è responsabilità di quest’ultima non farlo, perché essere etici è la nostra prima responsabilità.

Infne, la buona governance comporta un chiaro impegno rispetto allo sviluppo sostenibile. I governi sono responsabili rispetto ai bisogni del pianeta. In un mondo interconnesso come il nostro i politici non possono, e non devono, negare le proprie responsabilità per ciò che avviene al di fuori delle loro piccole circoscrizioni. Buona governance vuol dire anche senso di appartenenza e di partecipazione universale.

Ma non è ancora tutto. L’elaborazione degli Sdg fno al 2015 e la loro successiva implementazione rappresentano un’opportunità per migliorare la governance globale. Se i concetti di responsabilizzazione, trasparenza e partecipazione, il principio «chi inquina paga» e l’impegno nei confronti dello sviluppo sostenibile vengono in qualche modo adottati a livello universale, ritengo che potremmo veramente compiere dei grossi passi avanti. I governi potrebbero collaborare in maniera molto più efficace e le attività economiche svolgere un ruolo di responsabilità. Potrebbero perseguire lo sviluppo sostenibile invece di spendere denaro per produrre altri danni, come avviene quando fanno propaganda o creano delle lobby contro il cambiamento climatico. Andando verso la buona governance di cui abbiamo bisogno per sostenere gli Sdg, avremo di bisogno di comportamenti corretti e leader responsabili nel settore pubblico come in quello privato.

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