All’inizio dell’anno scorso, prima che esplodesse la crisi ucraina, Gazprom aveva iniziato a collaborare. Ma ora, le cose sono cambiate. Al di sopra del procedimento che richiederà al monopolio russo del gas di dimostrare l’infondatezza delle accuse di Bruxelles - aver eretto barriere alla libera concorrenza e imposto prezzi fuori mercato in alcuni Paesi dell’Europa orientale - c’è una dimensione in cui la Russia ha subito collocato il confronto con la Commissione Europea.
Ed è il piano politico. Che distingue questo caso dai precedenti di Google o Microsoft e trascina nel dibattito, accanto a gasdotti e contratti, realtà ben più ampie. La guerra nel Donbass. Il gelo con Mosca che sta paralizzando i legami commerciali. La coesione tra i 28 Paesi membri della Ue.
«Per me questo caso non è politico», insisteva ieri il commissario europeo alla Concorrenza, Margrethe Vestager, annunciando il procedimento formale contro Gazprom per abuso di posizione dominante. Ma è la stessa Russia a considerarlo tale, definendolo «un atto ostile e un tentativo di esercitare pressione sulla politica energetica della Russia». E non è certo da oggi che Gazprom - su cui appoggia una parte consistente del bilancio pubblico russo – gode di uno status speciale, da far dire al suo antico signore, Viktor Cernomyrdin, che «quello che è bene per Gazprom è bene per la Russia». Quando nel settembre 2011 la Ue diede il via all’inchiesta su Gazprom, Vladimir Putin firmò un decreto per blindare la compagnia, proibendo la trasmissione di informazioni all’estero senza il consenso del Cremlino. E ora che Bruxelles ha sparato il primo colpo, Gazprom esige che il caso sia trattato da Stato a Stato: Mosca non riconosce la giurisdizione Ue sul monopolio.
E queste sono le ragioni che ostacoleranno una soluzione negoziata ed equilibrata della vicenda: la collaborazione di Gazprom e la rettifica del proprio modello di comportamento in Europa potrebbe evitare finali drammatici. Come quello di una sanzione pari al 10% del giro d’affari complessivo della compagnia in questione. Una cifra superiore ai 10 miliardi di euro.
Le conseguenze rischiano di essere ben più gravi. In un confronto politico le regole del negoziato saltano. Lo sa bene Bruxelles, che l’anno scorso mise il dossier Gazprom nel cassetto per non tirare la coda al leone russo nel momento in cui esplodeva la crisi. Ma ora che il caso viene riaperto nel momento in cui il Cremlino corteggia la Grecia, invitandola a rompere il fronte europeo dall’energia alle sanzioni, la partita sale di tono. In questo pericoloso ping-pong, ieri l’annuncio di Margrethe Vestager è stato seguito poco dopo a Mosca dalla proposta del ministero dell’Economia di escludere alcuni prodotti dall’embargo sulle importazioni alimentari: per favorire Atene e Budapest, i cui leader si sono pronunciati contro le sanzioni alla Russia.
Nel frattempo da Kiev arrivava la notizia che alle celebrazioni per il 70° anniversario della Seconda guerra mondiale (che i leader ucraini non chiamano già più come i russi “Grande guerra patriottica”) il simbolo che onorerà i caduti non sarà più la lentochka, il nastrino di San Giorgio arancione-nero, ma il papavero rosso adottato dalla Gran Bretagna.
Un’altra tirata alla coda del leone, che a sua volta prosegue a calpestare la sovranità ucraina proprio sul fronte del gas, esigendo – dietro pagamento ucraino – forniture dirette ai separatisti. A Kiev sono arrivate in questi giorni le prime due compagnie di paracadutisti americani che addestreranno le forze ucraine e anche questa, vista da Mosca, è un’ingerenza inaccettabile, impensabile fino a un anno fa. A dimostrazione di quanto la partita geopolitica iniziata, che mette insieme gas e guerre e sanzioni, sarà lunga e pericolosa.
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