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CIBO PIÙ SANO E ACCESSIBILE

Carta di Milano, ecco gli impegni. Veca: «Expo prova generale per il futuro»

«Noi donne e uomini, cittadini di questo pianeta… riteniamo che il diritto al cibo debba essere considerato un diritto umano fondamentale. Consideriamo infatti una violazione della dignità umana il mancato accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia». Potrebbe essere il passaggio di documento scritto dai gruppi no-Expo attesi a Milano nelle prossime settimane. Invece è l’incipit della Carta di Milano, punto di partenza di quella che vuole essere “l’eredità immateriale di Expo 2015”, anticipata al Sole 24 Ore e che martedì 28 aprile sarà presentata nell’aula magna dell'Università statale di Milano.

Salvatore Veca, filosofo dall’articolata carriera accademica ed editoriale, è ideatore del percorso che ha portato alla Carta, avviato nel 2012 con Laboratorio Expo, poi fatto proprio dalla Fondazione Feltrinelli e cofinanziato da Expo. Ci anticipa i contenuti e soprattutto gli impegni su cui «speriamo di raccogliere milioni di firme, da presentare il 16 ottobre al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, in una tappa fondamentale del processo bottom-up che la Carta vuole attivare, portando nelle agende di governi e istituzioni internazionali istanze e richieste che cittadini e cittadine di tutto il mondo, ma anche associazioni della società civile, università, enti di ricerca, imprese, governi e organizzazioni internazionali hanno contribuito a formulare e condivideranno sottoscrivendo il testo».

Il processo ha attivato «un mosaico di voci dal basso», un “unicum” nella storia delle esposizioni universali, spiega Veca, «ma anche un complesso equilibrio tra l’essere la “legacy” di Expo Milano e insieme espressione di cittadinanza globale». Insomma «l’assioma che il diritto al cibo sano e nutriente appartiene ad ogni essere umano inferisce in un’agenda di cose da fare». L’affermazione di principio si traduce in obiettivi e impegni concreti.

Chi firmerà la Carta, nel Padiglione Italia o online, si impegna ad “avere cura e consapevolezza della natura” di ciò che mangia, a consumare “solo” quanto gli è necessario e a “donare” quello in eccesso. A evitare lo spreco d’acqua, ad adottare “pratiche virtuose” per l’ambiente. Si impegna a conoscere le implicazioni che comportano le proprie scelte quotidiane (non solo) alimentari e a comportarsi di conseguenza.

Il documento è rivolto anche ad associazioni e imprese. Alle prime si chiede di “rappresentare le istanze della società civile”, individuando “le principali criticità nelle varie legislazioni che disciplinano la donazione di alimenti invenduti”. C’è il nodo dei territori con l’obiettivo di “valorizzare i piccoli produttori locali come protagonisti di una forma avanzata di sviluppo”. Alle imprese, è proposto di impegnarsi sia sul fronte ambientale sia su quello sociale, con “forme di occupazione che contribuiscano alla realizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori”. Ma entrano in gioco anche gli investimenti in ricerca e i processi produttivi e distributivi.

«La Carta – spiega Veca - non è un accordo tra governi come il Protocollo di Kyoto per l’ambiente, ma un documento che nasce dal basso. Comprende una lista di richieste rivolte ai governi ai quali tocca adottare leggi adatte a rendere effettivo il diritto al cibo, ma anche per la tutela delle risorse naturali, per lo sviluppo di un sistema di commercio internazionale non discriminatorio e basato su regole condivise, in modo da eliminare le distorsioni che fanno coesistere malnutrizione e obesità, la fame cronica e lo spreco di un terzo del totale del cibo prodotto». Ai governi si chiedere di «combattere ed eliminare» il lavoro minorile o irregolare nell’agroalimentare e di promuovere strategie che tengano conto del rapporto tra città e campagne.

Il testo contiene altre parole chiave: il ruolo delle donne, energia, credito, educazione alimentare, cambiamento climatico. «Questo lavoro - spiega Veca - non è “chiuso” ad ulteriori contributi: fino a ottobre si potranno aggiungere allegati proposti da altri e che filtreremo secondo i criteri iniziali». Non teme, chiediamo, che gli obiettivi della Carta possano apparire velleitari, col rischio che tutto si traduca in una lista di buoni propositi e sfide impossibili? «Sono ambiziosi, non velleitari. Non escludo che possa essere un flop ma non poniamo limiti alla provvidenza laica. Il successo è affidato alla capacità della Carta di ottenere consenso a tutti i livelli. Vogliamo guardare ad Expo non come a una mera esposizione ma - per usare la definizione di Marino Niola (antropologo della contemporaneità, ndr.) - come alle prove generali per il futuro».

@chigiu

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