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Bernardo Zambado, la Grande Guerra raccontata da un contadino-soldato

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Il libro

Bernardo Zambado, la Grande Guerra raccontata da un contadino-soldato

La Grande Guerra raccontata da un piccolo fante di Rivalta Bormida morto a soli 25 anni sulle montagne del Carso “per ferite riportate in combattimento”. Il suo nome è Bernardo Zambado, un milite noto solo alla sua famiglia e alla gente del territorio che lo ha visto crescere. Ma ignoto ai più. Bernardo è, infatti, uno dei tanti contadini-soldati che il decreto di Mobilitazione Generale del 22 maggio 1915 chiamerà alla armi “per combattere l'odiato nemico” austriaco-tedesco. Partirà per il fronte sei giorni dopo e ci resterà sei mesi, ovvero fino al 21 ottobre, giorno in cui cade “nell'adempimento del suo dovere”.

Una storia come tante altre che sarebbe finita nel dimenticatoio se Bernardo non avesse deciso di raccontarla, usando quella stilografica che la famiglia gli aveva regalato – come si usava fare in quegli anni di guerra con i soldati che partivano per il fronte – allo scopo di facilitarne la corrispondenza. Bernardo, per nostra fortuna, non si limiterà a scrivere lettere o cartoline ad amici e parenti, come invece farà la maggior parte dei suoi commilitoni, ma decide sin dai primi giorni di trasformarsi in testimone oculare e di raccontare l'esperienza che sta vivendo. Lo fa con l'intento di potere, a guerra finita, rievocare con i familiari la tragica vita di trincea sua e dei suoi commilitoni rivaltesi. Una cosa assolutamente straordinaria per un ragazzo pochissimo istruito quale lui era: aveva, infatti, potuto completare appena il ciclo delle elementari (frequentandone, pare con impegno, solo tre anni) e poteva dunque contare su una calligrafia incerta e su una conoscenza grammaticale alquanto approssimativa.

Ma il suo racconto, in forma di diario, la sua straordinaria narrazione è lo stesso efficacissima nel “restituirci” il “dietro le quinte” della prima guerra mondiale, gli istanti e il contesto di un fronte così ampio e crudele. Testimonianze scritte diremmo oggi in presa diretta, a fine giornata se non durante le pause fra un combattimento e l'altro, fra un assalto alla baionetta e una disastrosa ritirata.

Attraverso le pagine del suo diario – scritto in presa diretta, non al ritorno a casa come in tanti altri casi -Bernardo ci racconta giorno per giorno le miserie della guerra dal suo personale punto di vista, di un giovane che avrebbe fatto volentieri a meno di partire e ancor più di combattere una guerra che non condivideva e che considerava insensata ed orribile.

In questo diario, 71 pagine scritte su un quadernetto in uso allora nel mondo contadino per l'annotazione delle spese domestiche o di campagna, non leggeremo di gesta eroiche e di imprese da immortalare, ma solo di piccole “stanze di vita quotidiana” al fronte: rancio (quando c'è) insufficiente, notti passate all'addiaccio, attese in trincea sotto la pioggia, assalti e scene di combattimento, feriti da portare in salvo, maltrattamenti e soprusi da parte degli “uficiali” con la “pansa piena ed ubriachi di marsala”.
Alcuni mesi dopo la morte di Bernardo, il poeta-soldato Giuseppe Ungaretti si trovò a combattere nella stessa zona e a ripercorrere le stesse trincee. È qui che il 27 agosto 1916 scriverà San Martino del Carso:

“Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro.
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.
Ma nel cuore
nessuna croce manca.
È il mio cuore
il paese più straziato”.

Versi, immortali, che restano nel cuore e nella mente di chi li legge. Così come restano impresse le parole che prendono forma dalla stilografica di quel piccolo-grande fante caduto sulle montagne sul Carso:

“Fatevi coraggio che io sto bene e questo tempo passerà
e verrà quel giorno che si consoleremo
e si diremo tutto quello che abbiamo passato…
e sarà una gioia, una felicità più pura e sincera”.

Quel tempo per fortuna è passato, anche se purtroppo le guerre non hanno mai smesso e non smettono ancora di portare il loro carico di morte e distruzione. Bernardo si può comunque consolare: attraverso il suo diario è infatti riuscito nell'intento di raccontare a tutti quello che lui e i nostri avi sono stati costretti a passare cento anni fa.

Dal diario

4 giugno
Il secondo giorno siamo andati a fare delle trincee dove già un anno li aveva fatti Napoleone. Poi sempre marce di 20 o 50 km. Si arriva a casa più morto che vivi

5 giugno
Oggi, sabato, venne il capellano e cinvita domani a messa e a fare la comunione e ci disse se almeno resterete sul campo di battaglia avete la vostra anima pulita. Io sono avvisato dal papa di ascoltare tutto senza confessione se anche prendere il caffè.

20 giugno (domenica)
Dinuovo sveglia alle 3, zaino in spalla e marcia o tattiche. Partimmo alle 4 e ritornammo alle 11. Abbiamo trascesi tre paesi. E nel ritornare ci acolse un temperio, siamo arrivati a casa bagnati sotto e sopra che non si poteva più camminare, poi alla notte faceva un gran freddo e non si sa con cosa coprirsi e così anche questa notte non mi senti troppo bene. Fortuna che domani vi era riposo, ed è uscito il sole e così abbiamo fatto asciugare la nostra roba e siamo andati a messa: questa è cosa indispensabile alla domenica. Qui sono temperature diverse dalle nostre. Quando viene qualche temporale, sui monti austriaci si vede la neve e di notte fa sempre freddo. Qui sempre si parla di morti o di fucilazione o di reclusione a chi trasgredisce gli ordini. Ci fanno poi delle morale che fanno venire la pelle doca. Questa sera cè cinquina, o ricevuto la posta che non l'aspettavo ancora e mi fece gran piacere. La lessi più volte e così con la vostra immagine in cuore mi addormentai tranquillo.

24 luglio
Siamo stati due giorni senza mangiare perché avevano sfondato la cucina. Un grande bombardamento e fucileria a questa notte e un grande temporale e noi abbiamo passato una brutta notte: le tende si riempirono dacqua e noi abbiamo dovuto uscire. Ma peggio sono stati quelli avanti che hanno sparato tutta la notte alaqua.

27 luglio
Oggi grande combatimento siamo andati tre volte allasalto alla baionetta senza guadagnare niente e così ci restò un nostro tenente e un sergente e cugino Moretto e canula e così siamo scappati giù tutti nella valle e noi di Rivalta siamo andati a dormire dietro una casa per essere salvi dalartiglieria che si bersagliava in quella notte; sempre portare via feriti, sul nostro fronte ci retò 1200 feriti; la nostra compagnia ne rimasero più duna metà.

3 agosto
Oggi di corvè; è venuto un gran temporale che mi hà riempito le tane d'acqua ed abbiamo passato una brutta notte bagnato e dormito nel fango.

18 settembre
Sempre bombardare e lavorare portare sacchi di terra e pietre e mangiare una volta al giorno fagiuoli e bere acqua; se non si muore amazato si muore dalla fatica

19 settembre
Sempre lavorare portare sacchi e mangiare fagiuoli una volta al giorno e se non si va avanti sono bastonate come i cani; questo è il tratamento che mi fanno i nostri uficiali quando anno loro la pansa piena ed ubriachi di marsala, mentre noi non abbiamo nemmeno acqua e adoperano i bastoni per farmi lavorare, è questa la civiltà che vogliono portare a questi paesi, mentre usano loro coi suoi soldati più che nel tempo degli schiavi.
20 ottobre 1915 (il giorno prima di cadere nella Conca di San Michele del Carso)
Questa notte grande freddo e ritornammo la terza volta in prima linea; speriamo di non avanzare, si vede queste bombe quando battono in trincea a saltare tutto in aria.
Gigi Vacca (a cura di), TRINCEE DEL CARSO. Diario di guerra di Bernardo Zambado, arabAFenice, Boves 2015, pagg. 206, euro 15,00

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