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I tassi a zero aiutano ma l’euro paga il conto

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la bce e il tesoro

I tassi a zero aiutano ma l’euro paga il conto

Il Tesoro ha venduto il BoT semestrale ottobre 2015 ad un rendimento pari a zero, collocando tutti i 6,5 miliardi di euro offerti a fronte di una domanda quasi doppia. E oggi, sfruttando l’onda lunga della liquidità fornita in abbondanza ai mercati dalla Banca centrale europea, il Tesoro collocherà i BTp a 5 e 10 anni con la ragionevole speranza di fissarne ulteriormente al ribasso i rendimenti, scesi negli ultimi mesi a livelli di minimo pluriennale.

Per il Governo italiano, cronicamente alle prese con un debito tra i più alti d’Europa e con un servizio sul debito tra i più onerosi, cavalcare l’onda della Bce è dunque un piacere quanto una necessità: con la ripresa economica in ritardo su quella degli altri, un rating sovrano da Paese arretrato (a quota BBB- è lo stesso dell’Azerbaijan, del Marocco, del Sud Africa, della Romania, del Brasile e della Federazione Russa ) e con un’agenda di riforme strutturali troppo spesso vittima di imboscate in Parlamento, già far parte dei 19 Paesi europei aderenti al «club dei tassi sottozero» è un privilegio su cui nessuno avrebbe scommesso all’inizio dell’anno.

Miracoli del Qe, l’Allentamento Quantitativo con cui la Bce sta combattendo inflazione e crisi: in meno di due mesi, Draghi è riuscito non solo a isolare i Paesi dell’Europa periferica dai rischi di un contagio immediato con la Grecia, ma anche a portare sotto zero i tassi di interesse sul debito sovrano con scadenze fino a 7 anni praticamente in tutta Europa, compresi i Paesi che non fanno parte dell’euro. Svezia, Danimarca e Svizzera hanno infatti oggi un tasso di sconto sotto zero: se si tiene conto che sono ben 19 i Paesi-euro che hanno tassi negativi di cui ben 5 hanno rendimenti a due e tre anni al di sotto del -0,2%, che rappresenta non solo il tasso sui depositi della Bce ma anche la soglia di esclusione dagli acquisti di debito del quantitative easing, si capisce bene come sia maturato non solo l’ingresso spagnolo ma anche quello italiano nel «club dei tassi negativi».

Per gli economisti della scuola classica, il fenomeno è scioccante: non solo è definitivamente tramontato il cosiddetto «LZB», o Level zero boundary, il livello di supporto dei tassi che si pensava non sarebbe mai stato raggiunto e infranto, ma si è entrati in un territorio finanziario inesplorato, pieno di bolle finanziarie, insidie sistemiche e incognite macroeconomiche. «Nella storia d’Europa - ha commentato Ambrose Evans Pritchard, noto commentatore economico inglese - dobbiamo tornare al Quattordicesimo secolo, quando il depauperamento delle miniere d’argento provocò una lenta contrazione monetaria, seguita dal default di Edoardo III sul debito contratto con le banche italiane e dall’epidemia della Morte Nera, innescando un devastante processo deflazionistico». Frasi da apocalisse, certamente esagerate nei toni e negli obiettivi, ma anche suggestive e soprattutto indicative della confusione che regna sui mercati, dei timori sui rischi generati dalle «bolle» (ecco l’analogia con la peste in Europa...) e soprattutto della difficoltà di prevedere gli effetti collaterali della manovra della Bce.

Anche se tutti gli occhi e l’attenzione sono concentrati sulla caduta dei tassi di interesse e sull’esuberanza delle Borse che continuano a salire malgrado le incertezze sui profitti aziendali e sul passo della ripresa economica globale, sarà bene di qui in avanti aver ben presenti anche gli effetti collaterali della manovra Bce sulla liquidità. Il denaro della Bce sembra avere infatti un effetto moltiplicatore della liquidità che va oltre ogni aspettative. Due mesi di Qe e acquisti di bond sovrani per poco più di 130 miliardi di euro hanno fatto non solo esplodere la propensione al rischio degli investitori, ma soprattutto una frenetica corsa agli acquisti di attività denominate in euro che se da un lato spinge gli asset finanziari come le azioni e i bond, dall’altro rischia di bloccare quella benefica e auspicata caduta dell’euro sul dollaro che aveva fatto ben sperare gli imprenditori italiani che esportano fuori dall’Europa e soprattutto alzato le chance di una ripresa più rapida della nostra economia.

Le cifre disponibili sui flussi di capitale spiegano bene quanto sta accadendo: il torrente di denaro che esce dalla Bce finisce in parte sui titoli di Stato spingendo i tassi sotto zero, poi in cerca di maggiore guadagno si sposta verso le azioni delle Borse europee, che per essere acquistate hanno però bisogno di euro, che a sua volta deve essere acquistato dagli investitori. I fondi di investimento globali e gli Etf specializzati sull’azionario europeo rappresentano la prima conferma: dall’inizio dell’anno a oggi, i due veicoli hanno portato in Europa 63,6 miliardi di dollari (poi convertiti in euro), il 70% in più dello stesso periodo del 2014 (fonte Epfr Global). Se poi si aggiungono gli acquisti fuori fondi - da cui è arrivata una spinta importante al rialzo del 20% registrato a ieri dall’indice delle azioni europee - effettuati comprando euro e vendendo dollari, è ancora più chiaro l’effetto devastante provocato sull’andamento ribassista dell’euro: dopo aver raggiunto il picco di 1,40 dollari nel maggio del 2014, la valuta europea ha sfiorato la parità il mese scorso per poi ricominciare a salire. Dal momento che anche ieri ha chiuso in rialzo a 1,1 dollari, si può ora affermare che in aprile, per la prima volta in 10 mesi, l’euro segnerà un rialzo sul mese precedente.

Insomma, i tassi a zero aiutano certamente i governi delle economie deboli d’Europa a gestire meglio il proprio debito, ma da soli non bastano a far ripartire il credito, l’industria e l’economia in generale. Senza contare che gran parte di questi investimenti sugli asset finanziari europei sono privi di «coperture assicurative»: a tale scopo, per investitori e speculatori, basta la polizza del Qe della Bce. Il contagio che vediamo ora è quello esercitato dai tassi tedeschi su quelli degli altri. Già, ma se poi qualcosa va storto? Come reagirà in concreto il mercato se la Grecia crolla senza aiuti, se in Spagna vince Podemos o se qualche altra crisi fuori programma dovesse esplodere tra il Medio Oriente e la Russia? Una cosa sola è certa: sui mercati come nella vita, il pasto gratis diventa sempre più difficile.

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