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Trasferimento di risorse, non riduzione di imposte

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IL BONUS DEGLI 80 EURO

Trasferimento di risorse, non riduzione di imposte

Il bonus degli 80 euro ai lavoratori dipendenti è un trasferimento o una riduzione delle imposte? Secondo il governo vale la seconda interpretazione, anche se la prima sarebbe più corretta in base ai criteri di classificazione vigenti. Si potrebbe dire che la questione sia di scarso interesse: ciò che conta sono i soldi netti in tasca ai contribuenti. Tuttavia, resta qualche dubbio da dissipare. Innanzitutto, se è vero che si è creata confusione su un tema così importante come quello della pressione fiscale effettiva, è difficile comprendere perché il governo abbia deciso la strada del bonus. Un’alternativa era rimodulare il profilo delle detrazioni per lavoro dipendente, come avevamo suggerito in altra sede (cf. Borri, Nisticò, Ragusa e Reichlin su La Voce Info, 11-02-2014), che determina aliquote marginali effettive elevate appena sopra la no-tax area, ma altre strade sul versante della riforma dell'imposizione erano possibili.

Non è questione di lana caprina. Una delle ragioni per cui lo Stato italiano ha un cattivo rapporto con il cittadino-contribuente è che i patti non sono chiari e, soprattutto, non sono stabili nel tempo. Se il governo lascia più soldi in tasca ai contribuenti per effetto di un trasferimento unilaterale non connesso al “patto fiscale”, è più difficile credere che si tratti di una decisione vincolante valida per il futuro. Un trasferimento “estemporaneo” crea incertezza, anche perché non ha solide motivazioni. Perché un bonus solo ai lavoratori dipendenti sotto una determinata soglia di reddito? Se si tratta di contrasto alla povertà, non dovrebbe essere esteso ai pensionati o ai lavoratori autonomi, o agli incapienti? E se si decidesse di estenderlo a una platea più ampia di cittadini, non si porrebbe il problema di come trovare le risorse per finanziarlo? Non sarebbe forse necessario ridurne l'importo?

L’imposizione implicita sul lavoro (gettito effettivo sui redditi da lavoro in rapporto alla loro consistenza) in Italia è ampiamente sopra la media europea, mentre l'imposizione implicita sui consumi è relativamente modesta. Più volte le autorità internazionali (Europa, Fmi, ecc.) hanno chiesto all'Italia di adottare misure utili a ridurre la pressione fiscale sul lavoro e imprese e allargare la base imponibile.

Se il governo avesse impiegato le risorse del bonus per rivedere il profilo delle detrazioni, avrebbe raggiunto due obiettivi importanti.

Per prima cosa, non ci sarebbero stati dubbi sul fatto che è impegnato seriamente sul fronte della riduzione della pressione fiscale sul lavoro, invece che su quello dell'aumento delle spese.

In secondo luogo, poteva giustificare meglio la misura, dipingendola come ciò che effettivamente è: un primo passo verso la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro dipendente, cioè un provvedimento a favore dell’equità (perché concentrato sui lavoratori poveri), ma anche della crescita, perché utile ad aumentare l’offerta e la domanda di lavoro. Questa giustificazione implicherebbe che il provvedimento non deve essere classificato nel novero delle misure che fanno parte del welfare, e neanche essere inteso come una manovra congiunturale, cioè finalizzata a stimolare la domanda e, quindi, un passaggio legislativo limitato alla fase recessiva.

Un messaggio chiaro in favore di un fisco più leggero, meglio se accompagnato dall’impegno a non riformare il sistema impositivo per un tempo ragionevolmente lungo, consentirebbe a imprese e lavoratori di stimare il reddito futuro e programmare le proprie scelte con maggiore sicurezza. Il dilemma interpretativo sulla natura del bonus non è solo di natura contabile.

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