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I benefici dell’«altruismo efficace»

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filantropia

I benefici dell’«altruismo efficace»

Gli esseri umani possono davvero sentirsi motivati dall’altruismo? Il mio nuovo libro “The Most Good You Can Do” illustra la comparsa di un nuovo movimento denominato Effective Altruism (Altruismo efficace) e mentre facevo interviste per documentarmi sono rimasto sorpreso da quanto spesso sia formulata questa domanda.

Perché dovremmo dubitare dell’agire a fini altruistici di alcune persone, quanto meno in alcune occasioni? In termini di evoluzione, possiamo comprendere facilmente l’altruismo verso un congiunto o un prossimo in grado di ricambiare l’aiuto che diamo. Pare plausibile supporre che, una volta sviluppatasi a sufficienza la nostra capacità di ragionare e riflettere per capire che anche gli sconosciuti possono soffrire e godere la vita quanto noi, almeno alcuni tra noi agiscano altruisticamente anche nei confronti degli sconosciuti.

Gallup, società di sondaggi d’opinione, ha intervistato persone di 135 paesi, chiedendo se negli ultimi mesi avessero effettuato donazioni per beneficienza, se si fossero attivati come volontari in qualche organizzazione o se avessero aiutato un perfetto estraneo. Dai risultati, raccolti per il World Giving Index 2014, risulta che quasi 2,3 miliardi di persone, un terzo della popolazione mondiale, compie almeno un’azione di puro altruismo al mese. (...)

Il movimento Altruismo Efficace è formato da persone che donano con il cuore e con il cervello. Scopo della loro donazione è ottenere il massimo possibile dalle risorse che sono disposti a mettere da parte per tale fine.

Tra queste risorse può esserci un decimo, un quarto o perfino la metà delle loro entrate. Il loro altruismo può concretizzarsi in tempo e talenti, e influenzare la loro scelta di una carriera. Per perseguire il loro scopo, usano la logica e si documentano per assicurarsi che qualsiasi risorsa loro dedichino a fare del bene sia quanto più possibile efficace.

Da numerosi studi risulta che chi è generoso in genere è più felice e più soddisfatto della propria vita rispetto a chi non fa beneficienza.

Da altre ricerche sappiamo che l’atto di donare porta ad attivare anche i circuiti cerebrali della ricompensa (le aree del cervello stimolate da cibi stuzzicanti e dal sesso).

Ciò non significa, tuttavia, che questi donatori non sono altruisti. La loro motivazione esplicita è aiutare gli altri, e donare li rende più felici soltanto in conseguenza del fatto che il loro aiuto effettivamente aiuta gli altri.

Se esistessero più persone di questo tipo, si donerebbe di più ed è questo che noi tutti vogliamo. Definire l’“altruismo” in termini così stretti, al punto che si ritiene opportuno utilizzare questa parola soltanto quando la donazione appare in contraddizione con l’interesse generale e complessivo di una persona, significa mancare completamente di centrare il punto: la situazione migliore da auspicare è quella nella quale promuovendo gli interessi degli altri si agisce in armonia per promuovere anche i propri.

Traduzione di Anna Bissanti

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