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L’affondo di David contro il fratello Ed

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il labour a pezzi e la famiglia miliband

L’affondo di David contro il fratello Ed

Dieci anni per ridarsi un futuro, due anni per preservare un Regno. Il primo giorno della Gran Bretagna al test del secondo esecutivo Cameron, si consuma attorno a parentesi temporali: la prima riguarda il partito laburista, la seconda quello conservatore. È di ieri la notizia dell’addio di Lord Sugar dal Labour perché è forza politica “che non ascolta le imprese”. È stato, quindi, uno dei più famosi imprenditori britannici, uno dei pochi con un debole a sinistra, a dare un nuovo colpo al dimissionario Ed Miliband.

Il partito cerca una guida e i padri del New Labour – da Tony Blair a Peter Mandelson – non lesinano critiche alla leadership uscente chiedendo il riposizionamento al centro per recuperare l’elettorato in fuga dal radicalismo ideologico di queste elezioni. I candidati si allineano, ma fra loro non ci sarà David Miliband, sconfitto cinque anni fa da Ed. Si è chiamato fuori dalla corsa, ma non ha rinunciato all’affondo, contestando al fratello l’errore di strategia politica e il conseguente disastro elettorale. Una legislatura non basterà per rimettere insieme i pezzi di un Labour dilaniato,ci vorrà un decennio. A meno che la scommessa di David Cameron non finisca in un fallimento, sviluppo che l’esito del voto non permette affatto di escludere.

Ieri il premier ha varato un rimpasto di governo, promuovendo più donne e più fedelissimi nei posti chiave. Non è stato nominato ministro il sindaco di Londra, Boris Johnson, ma, Cameron lo ha voluto nel comitato ristretto di Downing street che deciderà la linea strategica. È chiaro, invece, il debito che il premier ha nei confronti del Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne elevato dopo la vittoria al rango di capo negoziatore con l’Unione europea.

L’azzardo di portare il Paese al voto sulla Ue impegna già il premier. Lo conferma la decisione di misurarsi con il “1922 Committee”, la base parlamentare Tory, popolata dai tanti “bastards” denunciati dall'’ex premier John Major quando, negli anni 90, cadde vittima delle loro imboscate. Ieri i backbenchers – peones del partito - hanno levato solo note flautate al primo ministro, ma se la trattativa con Bruxelles non porterà risultati i “bastardi” torneranno ad attaccare il leader.

L’euroscetticismo britannico è fiera che non trova pace, ma trova alleati, come suggerisce la marcia indietro del leader dell’eurofobo Ukip, Nigel Farage che ha già ritirato le dimissioni perché “sollecitato dall’esecutivo del partito”. Senza di lui l’United Kingdom Independence party sa di essere perduto. Farage, forte del 13 % del consenso popolare, saprà ispirare grandi manovre, parlamentari e non, per creare un’alleanza anti-europea d’intesa con i tories più settici. Un fronte che potrebbe pregiudicare il tentativo avventurista di Cameron, a caccia di una soluzione positiva – è personalmente favorevole all’adesione – ma anche finale della tribolata relazione euro-britannica. Se accadrà, se nel 2017 vincerà il “no”, sul Regno Unito scatterà il gioco del domino, l’addio di Londra a Bruxelles, come si è detto in questi giorni, innescherà la secessione scozzese dal Regno. E allora molti rimpiangeranno di non aver votato un Labour ideologico, portatore di una linea radicale e anacronistica nell’impianto sociale, ma con un incontestabile punto forte: non avere in programma il referendum sull’Unione europea.

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